Noi non archiviamo, noi non dimentichiamo. Il prossimo 20 marzo saranno trascorsi 26 anni dall’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Oltre un quarto di secolo. Che non è stato sufficiente a scoprire chi ha dato l’ordine di uccidere l’inviata del Tg3 e il suo operatore, chi li ha freddati a colpi di kalashnikov, e soprattutto chi e perché ha volutamente e tenacemente depistato le indagini. Una ricorrenza resa ancor più dolorosa dall’assenza di Giorgio e Luciana Alpi, morti senza ottenere verità e giustizia. Una ricorrenza che quasi coincide con il termine disposto dal giudice per le indagini preliminari di Roma, Andrea Fanelli, il quale lo scorso ottobre nel respingere la terza richiesta di archiviazione presentata dalla Procura di Roma ha disposto ulteriori accertamenti investigativi da effettuarsi nell’arco di 180 giorni.
“Confidiamo che in questi sei mesi la Procura di Roma abbia raccolto elementi utili a chiarire una volta per tutte lo scenario reale del duplice omicidio e soprattutto, aspetto fondamentale, tali da riaprire un’inchiesta che taluni vorrebbero chiusa al più presto, senza colpevoli”.
A parlare è l’avvocato Giulio Vasaturo legale della Federazione nazionale della stampa Italiana e dell’Usigrai (sindacato unitario dei giornalisti la prima, sindacato dei giornalisti Rai, il secondo) che si sono costituite “parti offese” nel procedimento penale.
Gladio in Somalia
“Anche se non posso rivelare i dettagli dell’inchiesta in corso – continua il legale – posso dire che il nuovo filone di indagine si è concentrato, fra l’altro, sulle attività dell’organizzazione Gladio, operate in Somalia all’inizio degli anni Novanta”.
Vasaturo si riferisce alla struttura paramilitare e di intelligence costituita subito dopo la Seconda guerra mondiale su input degli Stati Uniti contro la “minaccia russa” e attiva in tutti i Paesi della Nato, la cui esistenza in Italia fu resa nota ufficialmente per la prima volta nel 1995 da Giulio Andreotti, sulla scia anche delle indagini sulla strage di Peteano, svolte dall’allora sostituto procuratore di Venezia, Felice Casson.
Segreto di Stato
Ma serve illuminare altre pagine buie della vicenda: “Ritorniamo a chiedere la desecretazione di tutti gli atti conservati negli archivi dei servizi segreti. Trascorsi oltre 25 anni dai fatti – attacca Vasaturo – non ha più senso nascondersi dietro il segreto di Stato e occultare prove che possono risultare decisive. Tutto il materiale deve essere messo integralmente a disposizione dell’autorità giudiziaria che deve essere posta nelle condizioni di arrivare finalmente alla verità. Per stracciare una volta per tutte il velo del depistaggio, occorre scoprire cosa è realmente accaduto nelle 48 ore successive all’agguato premeditato in cui hanno perso la vita Ilaria e Miran”.
Al riguardo occorre ricordare che indicazioni utili alle indagini sono scaturite a seguito della pubblicazione integrale, nel 2016, decisa dalla Camera presieduta da Laura Boldrini, dell’archivio integrale dei materiali raccolti sulla vicenda dagli organismi parlamentari e anche della Rai.
https://archivioalpihrovatin.camera.it
Percorso condiviso
L’avvocato Giulio Vasaturo è deciso e risoluto. Il suo non è un annuncio, ma un messaggio forte e chiaro, una promessa: “Noi continueremo nel percorso di verità e giustizia intrapreso da Giorgio e Luciana Alpi. E non ci fermeremo fin tanto che non otterremo ciò per cui non abbiamo smesso di lottare, insieme a tante persone, a partire da Mariangela Gritta Grainer, ex deputata e consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Alpi-Hrovatin, diventata punto di riferimento anche sul piano umano di papà Giorgio e mamma Luciana, dai quali ha raccolto il testimone”.
Di Ilaria e Hrovatin si è parlato pure durante la tregiorni dal titolo “Parole non pietre” organizzata a Roma dal 28 febbraio al 1. Marzo scorsi da Articolo 21 con Fnsi e altre associazioni, trainata da Giuseppe Giulietti, attuale presidente Fnsi, fra coloro che sono stati fin dall’inizio del loro calvario accanto ai coniugi Alpi.
Ed è in quell’occasione che lo stesso Vasaturo, insieme a Francesco Cavalli, uno dei promotori della Fondazione Ilaria Alpi (?), ha espresso un commosso tributo alla memoria dell’avvocato Domenico D’Amati, storico legale della Fnsi, scomparso di recente: “Senza di lui, noi non saremmo qui. E’ stato suo il merito se siamo andati avanti anche quando tutte le porte erano sbarrate e più si bussava più venivamo respinti. Domenico non ha mai mollato, dando anche a noi la forza di continuare a cercare la verità. Un maestro nella professione e nella vita”.
Mobilitazione permanente
“Mogadiscio, 20 marzo 1994, ore 15.10: Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono assassinati nell’autovettura su cui viaggiano accompagnati dall’autista Abdi e dal vigilante armato Nur, entrambi scampati all’agguato”. L’inizio di tutto. Il 24 novembre la sentenza di condanna a 26 anni di reclusione del Tribunale di Roma dell’unico indagato nel processo: il somalo Hashi Omar Assan. Lo stesso che dopo 19 annidi carcere viene assolto “per non aver commesso il fatto” nel 2016 dal Tribunale di Perugia, sulla scorta, guarda caso, di evidenze emerse da un’inchiesta giornalistica. Convinta dell’innocenza di Assan si è sempre detta la famiglia Alpi.
Nel 2018 la prima richiesta di archiviazione della Procura di Roma. Nella primavera del 2019 la seconda richiesta di archiviazione sempre presentata dalla Procura di Roma. E l’ennesima mobilitazione con una raccolta di firme lanciata anche sulla piattaforma change.org
«C’è stato depistaggio come dimostrato dai giudici perugini – dichiarò allora l’ex on. Grainer – e il depistaggio potrebbe aver accompagnato l’inchiesta fin dall’inizio e forse essere ancora in atto. Mandanti ed esecutori sono impuniti. Un innocente è stato quasi vent’anni in galera, e Luciana e Giorgio Alpi sono morti senza avere verità. Non abbiamo nessuna intenzione di archiviare alcunché e chiediamo a tutti i media di tornare a illuminare a giorno questa buia pagina della nostra storia”.
Noi non archiviamo. Noi non dimentichiamo.