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#FreeThePress, parte la campagna mondiale per liberare oltre 250 giornalisti in carcere

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Stime del dicembre 2019 alla mano, sono almeno 250 i giornalisti in carcere nel mondo. E per loro la condizione di detenuti, con la pandemia del coronavirus, può equivalere ad una condanna a morte. Per chiederne la liberazione incondizionata il  Committee to Protect Journalists (CPJ ha lanciato il 30 marzo la campagna  #FreeThePress e una petizione online su change.org.

In questi ultimi quattro anni il CPJ, ), organizzazione con sede a New York,  ha  registrato un preoccupante aumento nel numero di giornalisti incarcerati per il loro lavoro. L’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha sottolineato che i prigionieri sono particolarmente vulnerabili al virus,  perché l’auto-isolamento è impossibile e le cure mediche sono spesso negate. Il CPJ ha anche scritto una lettera aperta ai leader mondiali chiedendo il rilascio immediato dei giornalisti in carcere, stavolta non solo perché imprigionare un giornalista per il suo lavoro è contrario alla legge internazionale – ha detto il direttore esecutivo Joel Simon – ma anche per ragioni umanitarie.  La campagna si concluderà il 3 maggio, la Giornata Mondiale per la Libertà di Stampa che quest’anno chissà come potrà essere celebrata, con una pandemia di cui non si intravvede ancora la fine.

Secondo il censimento del CPJ, al primo dicembre 2019 risultavano in carcere 48 giornalisti in Cina; 47 in Turchia; 26 in Egitto come in Arabia Saudita; 16 in Eritrea; 12 in Vietnam; 11 in Iran; 7 in Russia.  I dati fanno riferimento a prigioni governative, e non a quelle di attori non statuali in situazioni di guerra.

Per prevenire il contagio, in Iran sono stati liberati su base temporanea 85 mila detenuti, ma il provvedimento non ha riguardato molti prigionieri politici come l’avvocatessa per i diritti umani Nasrin Sotoudeh,  dal 16 marzo in sciopero della fame proprio perché anche loro possano essere scarcerati i. E’ stato invece esteso fino al 18 aprile il permesso temporaneo per l’anglo-iraniana Nazanin Zaghari-Radcliffe, project manager della Thompson Reuters Foundation, arrestata nel 2016 e condannata a cinque anni con l’accusa di aver partecipato a progetti multimediali e informatici per la caduta del governo. Per lei, cui il Regno Unito aveva dato protezione diplomatica, non si esclude che potrebbe ora esservi un provvedimento di clemenza.


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