Mi verrebbe voglia di riprendere l’attacco di uno dei grandi capolavori del giornalismo: il reportage di Giampaolo Pansa da Longarone devastata dalla tragedia del Vajont che iniziava con queste parole: “Scrivo da un paese che non esiste più”. Invece l’Italia c’è ancora, resiste, lotta, si batte come può contro un male che nessuno è stato ancora in grado di decifrare fino in fondo e che ci coinvolge tutti in egual misura, che si sia stati contagiati o meno.
Non entro nel merito delle misure prese ieri dal governo. Non mi interessano affatto alcuni soloni da salotto televisivo che devono essere lasciati blaterare senza ascolto, utilizzando il telecomando come un’arma e dimostrando plasticamente di essere superiori a sciacalli e cialtroni d’ogni risma
Nelle prossime settimane, dobbiamo rassegnarci all’idea che nessuno avrà ragione e quasi tutti avranno torto, su tutto, per il semplice motivo che non può esserci nulla di razionale, di normale e di storicamente accettabile in un contesto che è del tutto fuori controllo.
Vedo l’emergenza democratica, innanzitutto nelle carceri, e non vorrei che la comprensibile rabbia dei detenuti e delle loro famiglie fosse stata sapientemente alimentata da qualcuno: bando ai complottismi ma, ora più che mai, sarà bene vigilare su ogni singolo dettaglio di una vicenda incresciosa e dalle conseguenze potenzialmente devastanti. Guai, infatti, se alle rivolte di ieri dovessero far seguito le repressioni e le violenze di domani, magari ad opera di nostalgici del manganello che nulla hanno a che spartire con la serietà e la professionalità della stragrande maggioranza delle nostre forze dell’ordine ma che, con la loro sola presenza, contribuiscono talvolta a lordare l’immagine di un’intera categoria (Cucchi, Aldrovandi, Uva ecc. sono casi che è sempre bene tenere a mente).
Occhio anche a non sottovalutare le conseguenze democratiche di quella che, nei fatti, è una sospensione costituzionale: doverosa, per carità, ma pur sempre di sospensione delle garanzie democratiche si tratta, dato che la libertà di movimento è stata estremamente limitata e che altre privazioni ci attendono. Diciamo che si può sopportare tutto questo per far fronte all’emergenza: non sarebbe sopportabile se qualcuno si azzardasse a rendere strutturale ciò che è e deve restare un unicum, e le tentazioni di una stretta sui diritti in questo Paese sono sempre all’ordine del giorno.
Abbiamo già sentito, ahinoi, i teorici delle distopie contemporanee, i quali sembrano quasi contenti del fatto che siano stati chiusi tutti i “lussi borghesi” e passano le giornate a fare i mazzieri nei confronti di chiunque si sforzi di ricordare che il campionato di calcio, tanto per citare un esempio, è stato fermato solo durante le due guerre mondiali; pertanto, dolersi per la sua sospensione, per quanto necessaria, non è affatto stupido. Su questi figuri urge una riflessione. Si tratta di personaggi pericolosi e sarà bene cominciare a trattarli come tali. Qualche giorno fa, durante la nostra assemblea annuale, abbiamo reso omaggio al maestro Giuliano Montaldo, e Vincenzo Vita ha ricordato la sua capacità di coniugare l’alto e il basso, rendendo popolari messaggi particolarmente elevati e non soffrendo mai dello snobismo tipico di una certa sinistra. Ebbene, oggi c’è in giro gente ben peggiore, in quanto il loro non è nemmeno snobismo ma odio misto a disprezzo. Sono gli stessi per cui con la cultura non si mangia ma sono anche quelli che non comprendono il valore sociale, e ovviamente politico e di condivisione collettiva, di una grande manifestazione sportiva. Sono gli alfieri del nulla, del vuoto, ai quali fa segretamente piacere osservare la sofferenza di quanti si sentono privati di un momento sicuramente ludico ma al contempo fondamentale per la tenuta della società, in tempo di pace e persino in tempo di guerra. Basti pensare che, nell’Antica Grecia, durante le Olimpiadi si fermavano addirittura i conflitti. Basti pensare che lo stesso pare avvenisse in Mozambico quando giocava il Portogallo di Eusebio. Basti pensare che l’inizio del disgelo fra Stati Uniti e Cina fu propiziato dalla diplomazia del ping pong. Questa gente parla per far prendere ari ai denti: senza sapere, senza conoscere, senza comprendere alcunché.
Infine, va posto al centro del dibattito il tema della fiducia, basata su un misto di etica della responsabilità e pedagogia democratica. Non siamo peggiori, noi italiani, rispetto agli altri popoli. Non siamo meno colti, meno capaci, meno intelligenti e neanche più cattivi, egoisti o individualisti. Dire questo non è populismo o gentismo: è amore per la mia terra e per le persone che mi circondano, per la stragrande maggioranza gente perbene, laboriosa e onesta. E il tema della fiducia da ritrovare, della mano tesa nei confronti del prossimo, della solidarietà, dell’affetto, della bontà e del calore umano è il grande tema di questo secolo dell’incertezza, nel quale ci potremo salvare solo rimanendo uniti, sacrificandoci gli uni per gli altri, volendoci bene, abbracciandoci e regalandoci una carezza anche quando non ce n’è bisogno; anzi, soprattutto in quei momenti. Fino a una settimana fa, se avessi deciso di concludere così un articolo, qualcuno avrebbe storto il naso e mi avrebbe accusato di essere sdolcinato. Oggi, al cospetto di un male che mette a nudo la nostra infinita fragilità, come singoli e come comunità, ci rendiamo conto di tutto ciò che abbiamo perso ed è ora di ritrovare.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21