ROMA – Carcere ed emergenza coronavirus: l’orientamento pressoché unanime di giuristi, garanti e volontariato è la scarcerazione di tutti i detenuti con fine pena minimo. I dati forniti dai garanti dicono che se non escono almeno 10 mila persone non è possibile isolare gli altri per scongiurare i contagi. Ma la situazione precaria di molte famiglie sotto pressione, alle prese con una criticità senza precedenti, si scontra con l’esigenza di ampliare l’accesso alle misure alternative.
Rilasciando, come viene chiesto da più parti, i detenuti in nuclei familiari che in questo momento sono in grave difficoltà (quarantena, niente lavoro, pochi metri quadrati a disposizione, spesso anche con bambini piccoli, assistenza sanitaria e sociale in affanno, bilanci allo stremo, nessuna possibilità, per il ‘nuovo giunto’, di trovare una occupazione seppur temporanea per contribuire alle spese quotidiane) non si rischia di scaricare su mogli e genitori, spesso anziani, un problema di sicurezza sanitaria che dovrebbe risolvere lo Stato?
“Il problema esiste, e so di alcuni familiari che hanno già espresso il loro diniego al rientro in casa di mariti, figli, padri – spiega Stefano Anastasìa, portavoce dei garanti territoriali e garante di Lazio e Umbria -. L’estrazione sociale di gran parte della popolazione detenuta non è di quelle che si può permettere spazio e cibo a sufficienza per tutti nelle condizioni in cui tutti siamo costretti a vivere in questi giorni”.
Davanti a situazioni e famiglie che non sono in grado di accogliere in questo momento critico i loro congiunti detenuti, quale altra soluzione è percorribile, in attesa che l’emergenza rientri?
“L’appello è rivolto al volontariato, al privato sociale e al terzo settore che certamente possono dare una mano nell’accoglienza dei detenuti senza casa. Complesso da realizzare, in queste condizioni, ma non impossibile. E costituisce un aiuto indispensabile per tutta la comunità, penitenziaria e non, nella prevenzione della diffusione del virus. E’ una necessità di salute pubblica”.
Con l’assistenza sanitaria e sociale concentrata sull’attuale emergenza, come si crede potrebbero affrontare le famiglie che pure sono in grado di accogliere i detenuti, i problemi psichici o di tossicodipendenza propri di un alto numero di persone ristrette? Sono previsti aiuti?
“Purtroppo no, ma ci sono le risorse ordinarie, quelle dei servizi pubblici e delle comunità, che non chiudono per coronavirus e che, pur tra mille nuove difficoltà, garantiscono continuità di cure e di accoglienza”.
Quando si parla di ‘domicilio idoneo’, a quali numeri ci si riferisce? Quante sono le persone che potrebbero usufruire in questa situazione di misure alternative?
“Non si può sapere, purtroppo. Nei giorni scorsi, prima ancora dell’entrata in vigore del decreto, la Presidente del Tribunale di sorveglianza e la direttrice di un istituto romano mi hanno già segnalato i primi casi di persone che potrebbero uscire già domani, ma che non hanno un domicilio idoneo dove recarsi. Sono difficoltà reali, ma non possiamo limitarci a contemplarle: serve uno sforzo straordinario da parte di tutti per affrontarle e, nella misura del possibile, risolverle”.
Cosa prevede il nuovo decreto?
“Il decreto ha riconosciuto le migliori prassi acquisite nei tribunali di Sorveglianza, stabilendo che i semiliberi, invece di vedersi sospesa la misura, come un po’ scioccamente era stato previsto in quello di dieci giorni fa, possano godere di una licenza straordinaria, pernottando fuori dal carcere fino al 30 giugno. E poi ha previsto qualche semplificazione nell’esecuzione della pena al domicilio, già prevista dalla legge Alfano, la 199 del 2010. Non sarà più necessario valutare il pericolo di fuga o di commissione di un nuovo reato e l’istruttoria potrà svolgersi anche avvalendosi dell’ausilio della polizia penitenziaria nell’accertamento dell’idoneità del domicilio indicato dal richiedente. Questo dovrebbe semplificare e sveltire le procedure. Queste procedure semplificate non si potranno applicare agli autori di gravi reati, ai cosiddetti delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai protagonisti delle rivolte della scorsa settimana e a quelli che hanno avuto sanzioni disciplinari per sommosse, evasioni o reati commessi in carcere”.
“I detenuti con un residuo pena tra i sei e i 18 mesi – prosegue Anastasìa – dovranno andare a casa con il cosiddetto braccialetto elettronico, se, come si promette, le Amministrazioni competenti riusciranno a metterne a disposizione un numero sufficiente. Il Governo valuta in circa 3 mila unità i detenuti che potranno beneficiare di questa misura. Sembra una valutazione ottimistica. Certo è un segnale di attenzione e una prima risposta. Tutto sta a vedere come sarà applicata alla luce dei molti paletti che porta con sé”.
Da più parti si chiede l’amnistia, provvedimento che secondo alcuni magistrati di Sorveglianza non avrebbe nemmeno i tempi tecnici per essere attuato. Non si rischia, con richieste che già in partenza hanno poche probabilità di essere accolte, vuoi per problemi tecnici che per scelte politiche, di fomentare la rabbia e la frustrazione delle persone detenute, in una situazione già esplosiva per mille altri fattori?
“Tecnicamente, un provvedimento generalizzato di clemenza (amnistia e/o indulto) è il più rapido ed efficace per una riduzione consistente della popolazione detenuta, ma finora non è mai stato neanche in discussione, tali sono le avversità nell’opinione pubblica e nel ceto politico. Dunque, come dico sempre ai detenuti che incontro, anche in questi giorni, evitate di coltivare illusioni destinate fatalmente a essere deluse”.
Un messaggio alla popolazione reclusa
“Continuate a manifestare la vostra preoccupazione e anche il vostro dissenso dalle scelte del Governo, continuate a segnalare tutto quello che non va, soprattutto nelle condizioni igieniche degli istituti e nell’assistenza sanitaria alle persone, ma fatelo in maniera pacifica e non violenta, come hanno fatto le detenute di Venezia o quelli di Civitavecchia, evitando di mettere a rischio la salute e l’incolumità di tante persone, a partire da quelli tra voi più fragili o malati. Delle vostre ragioni terremo conto e cercheremo di portare la vostra voce all’opinione pubblica e ai responsabili dei servizi e delle scelte politiche e istituzionali, nell’interesse vostro e nell’interesse di tutti”.