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Coronavirus, l’ora dell’informazione senza restrizioni

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Quanto è invidiabile la Russia, il Paese dove si sono registrati solo 20 casi di coronavirus! E’ un modello o è un’illusione?  Oppure è una menzogna? Se non fosse anche lo stesso Paese, che insieme a molti altri in Europa, è un luogo assai insicuro per i cronisti, allora si potrebbe affermare che quei pochi casi sono una buona notizia. Ma purtroppo è realistico pensare che siano una “non notizia”. In questi giorni, ormai settimane, in cui la salute e il rispetto delle regole sono diventati l’aspetto più importante da raccontare non si può e non si deve evitare di guardare oltre e altrove. Le restrizioni di una cronaca che guardi da vicino cosa accade negli ospedali, nelle fabbriche ancora aperte,  nelle  misure economiche sono l’errore  che molti giornalisti temono in queste ore. Remiamo tutti nella stessa parte guardando l’obiettivo finale ma non si può lasciar perdere quello che succede attorno alla barca di tutti. Il decreto che autorizza i giornalisti a girare e raccontare con l’autorizzazione aziendale ha “dimenticato” i freelance, i precari, i collaboratori esterni ossia quelle figure che tengono in piedi l’informazione insieme ai colleghi delle redazioni e che, va detto, spesso sono arrivati primi su notizie scomode.  L’Italia ha bisogno di unità, di responsabilità e di essere descritta dal centro alle periferie perché questa è la vera prova di quanto sia alto il livello  democratico che abbiamo raggiunto e quanto ci siamo allontanati dall’ultimo vero regime che abbiamo vissuto.  Quello che “ha fatto anche cose buone” e in cui “i treni arrivavano sempre in orario” perché i ritardi dei treni non erano contemplati nella propaganda.  Probabilmente è proprio questo il primo grande test dei principi della Carta di Assisi rilanciati da Articolo 21, alla fine di febbraio, quando l’emergenza stava per esplodere. Adesso usare parole precise, non offensive e  meno reticenti, è indispensabile per respingere le pietre, i macigni della disinformazione.


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