L’Africa sta con il fiato sospeso. L’epidemia di coronavirus lentamente ma inesorabilmente sta arrivando anche qui. Gli esperti ribadiscono che in questo contesto qualsiasi virus può provocare una catastrofe. Sistema sanitario fragile, mancanza di strutture, macchinari, competenze sono falle non facilmente colmabili in breve tempo nonostante l’impegno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di dotare entro fine marzo almeno 36 nazioni su 54 di quanto necessario per identificare il virus. A febbraio c’erano solo due laboratori (in Senegal e Sudafrica) in grado di fare analisi specifiche. In Africa la sanità è dappertutto privata: l’accesso quindi non è garantito alla stragrande maggioranza della popolazione del continente, di conseguenza non è mai stato realizzato un sistema per garantire la salute pubblica con attrezzature necessarie ai bisogni.
La pressione demografica è altissima e concentrata in aree ristrette come le baraccopoli, dove mancano acqua corrente, servizi igienici, fognature. Il rischio di trasmissione è fortissimo. La popolazione africana (più giovane per età di quella europea ed asiatica) non reggerebbe all’urto di una pandemia proprio per le scarse misure igieniche e sanitarie.
Ma già si comincia a ragionare sugli effetti della crisi economica globale che seguirà quella sanitaria. L’Africa si aspetta gravi contraccolpi dalla prevedibile riduzione degli investimenti cinesi da cui è totalmente dipendente. Pechino infatti è il primo o secondo partner di tutte le nazioni del continente. Già si sentono gli effetti della mazzata generata dal crollo del prezzo del petrolio che ha investito in questi giorni Algeria e Nigeria, ottavo produttore al mondo di greggio. Le turbolenze in borsa stanno già penalizzando la moneta sudafricana e dello Zambia. Il probabile rallentamento generalizzato delle grandi economie coinciderà con la frenata della domanda di materie prime (bauxite, coltan, rame, etc.) di cui l’Africa rifornisce il mondo intero. Nel continente inoltre manca l’industria di trasformazione e c’è la necessità di importare manufatti. Il debito estero accumulato (di fronte al crollo di vendite delle materie prime) sarebbe difficilmente restituibile. Ci sono tutte le condizioni per riportare indietro di almeno 20 anni l’orologio dello sviluppo, seppur contraddittorio, a strappi, a pelle di leopardo che si è registrato in Africa.
Gli economisti africani da tempo si interrogano sul neocolonialismo cinese che ha creato una totale dipendenza economica, senza possibilità di sviluppo autonomo, e con la “complicità” di una leadership politica generalizzata attenta a conservare il potere grazie a prestiti troppo generosamente ma non disinteressatamente concessi da Pechino: a restituirli con gli interessi saranno le prossime generazioni.
Gli effetti del coronavirus sull’economia sono già visibili.