Colleghi e colleghe,
oggi La Stampa è in edicola e online per miracolo. Ci siamo. Malgrado le disfunzioni dello smart working, a cui ieri sera alcuni colleghi hanno ovviato, chi trasferendosi da Torino ad Asti, chi intervenendo sulle pagine da Roma, dalle province e dalla Liguria per garantire l’uscita del giornale. Un’emergenza iniziata ieri mattina con l’evacuazione della sede centrale di via Lugaro. Un atto necessario e inderogabile che – come tutti ormai sapete – è la conseguenza del primo caso di corona virus riscontrato in un collega poligrafico.
Da diversi giorni il Comitato di redazione aveva sollecitato, a più riprese, l’esigenza di ridurre le presenze nella redazione centrale agevolando il telelavoro (come espressamente richiesto dal governo nel decreto Conte). Non è stato fatto. Ci si è limitati a lasciare a casa, talvolta con inspiegabile ritardo, i colleghi nelle situazioni previste dal protocollo nazionale. Nei giorni scorsi, nonostante i nostri ripetuti appelli, non abbiamo ricevuto né risposte, né igienizzanti, né mascherine protettive, né sono state eseguite – come altrove – sanificazioni preventive.
Ci siamo fidati delle rassicurazioni della direzione e dell’azienda circa lo sforzo che si stava facendo in quelle ore per predisporre un piano di emergenza per garantire l’uscita del giornale. Emergenza che puntualmente è arrivata giovedì mattina dal tampone positivo eseguito sul collega (a casa dal 3 marzo). Ieri alle 14 abbiamo assistito allo sgombero del palazzo di via Lugaro, ci siamo anche prodigati in prima persona per avvisare tutti (anche colleghi in sede che non erano stati informati e che proseguivano tranquillamente a lavorare ai computer degli sportelli abbonamenti ignorando lo stato di emergenza). Attendevamo fiduciosi che si mettesse in moto la macchina del “piano B”: il trasferimento nella redazione allestita nello stabilimento di stampa, come ci era stato annunciato nei giorni scorsi e confermato ieri a mezzogiorno. Falsa partenza, perché la redazione d’emergenza non era agibile per mancanza, pare, di alcune autorizzazzioni. Scatta il “piano C”, il telelavoro: ai 37 pc distribuiti per gestire il desk cuore del giornale, se ne aggiungono 10 per altri colleghi. E altri 60 portatili in fase di aggiornamento software, in previsione di essere consegnati a chi ancora non ne ha uno.
Ma ci si è scontrati brutalmente con la realtà: le connessioni non supportano un numero di utenti esterni tale da consentire la fluidità dei processi di produzione. Linee lente, tempi biblici, su diversi pc assenza di Outlook per rimanere in contatto attraverso la posta elettronica, difficoltà nell’inserire in pagina le foto, alcuni colleghi trasferiti in serata nella redazione di Asti per chiudere le pagine torinesi della Cronaca. Nonostante tutto, ancora una volta abbiamo fatto il miracolo.
Ma ci auguriamo che ci sia una seria riflessione della dirigenza dell’azienda e della direzione di questo giornale circa le proprie e ormai indiscutibili responsabilità. Assistiamo attoniti e in silenzio ad un modo di procedere che viaggia sempre sul filo del baratro, che è il prodotto dei tagli indiscriminati con cui La Stampa è stata de-materializzata, destrutturata, ridotta ai minimi termini mentre Gedi ha continuato a distribuire dividendi agli azionisti e premi ai dirigenti. Noi restiamo senza carta igienica nei bagni, senza wifi nelle redazioni decentrate, con un sistema editoriale che dà problemi su ogni fronte, con connessioni lente, con pc inadeguati. Con pochissimi sistemisti (colpiti anche loro dai tagli agli organici e dalla cassa integrazione) che stanno diventando matti in queste ore per fare il miracolo di caricare il software in 60 portatili.
Non sappiamo come procederemo oggi, domani, se tutto andrà per il meglio e la fortuna ci assisterà. Ma fin da ora rifiutiamo che il prezzo di queste incapacità ricada ancora una volta sulla redazione. Che sia domani o che sia nei bilanci di fine anno.
Anche i nostri lettori devono sapere che i giornalisti de La Stampa hanno continuato fino all’ultimo istante a lavorare, senza protezioni e correndo i propri rischi, nella redazione centrale, senza vedere accolte le richieste urgenti di applicare da subito il telelavoro o di lavorare in condizioni di sicurezza. L’incapacità manageriale nel gestire l’emergenza (prima e dopo la conclamazione del contagio) non è più imputabile ad alcuno di noi, colleghi. Restiamo dunque pronti a scrivere e offrire a La Stampa le nostre capacità, la nostra professionalità, i nostri sacrifici anche dalle nostre case. Ma questa giornata rimarrà impressa, scolpita. Crederemo tutti un po’ meno, da oggi, ai proclami di chi ci guida. E non si pensi di presentarci un nuovo conto da pagare. Piuttosto si ringrazi il lavoro della redazione, che si è comportata in modo ammirevole – ancora una volta – dando un esempio.
Il cdr