Scritto da Bruna Alasia
Alcuni giorni fa il settimanale francese “Le Point” scriveva che la 73ma edizione del Festival di Cannes, prevista dal 12 al 23 maggio 2020, sarebbe stata annullata, anche se la conferma ufficiale l’avremmo avuta solo nella conferenza stampa convocata per il 16 aprile.
Se qualcuno sperava ancora nel miracolo, oggi non si può più credere che la manifestazione si svolga come al solito sulla Croisette: a parte il blocco dei trasporti aerei, sessanta mila visitatori quotidiani, assiepati sul lungomare di una cittadina di 75mila abitanti, sarebbero l’ideale per la proliferazione del coronavirus.
La Francia adesso viaggia sugli ottomila casi di covid 19. Quasi 2.600 i ricoverati in ospedale, 5.000 i guariti o rientrati a casa, settecento persone in rianimazione, i deceduti 264. Il ministro della Salute Olivier Véran ha confermato che sono state adottate “le stesse misure di contenimento in vigore in Italia e Spagna“. E come accadde in Italia con la fuga verso Sud, i francesi hanno affollato le stazioni dei treni per lasciare la capitale. Il ministro dell’Interno, Christophe Castaner ha vietato le attività collettive e stabilito il dispiegamento di 100mila poliziotti per controllare gli spostamenti.
Possiamo sperare per il 2020 in uno spostamento in avanti? Difficile fare previsioni perché non ci sono certezze sulla durata dell’epidemia e spazi importanti dell’estate sono già occupati da altri festival, come quello di Locarno o la Mostra di Venezia. Resta un’ultima possibilità, che Cannes quest’anno reinventi il festival da remoto, con gli accreditati che lo seguono al computer. Sarebbe la prima volta nella storia. Eppure difficile da digerire per una manifestazione che finora ha osteggiato, a differenza di Venezia, le opere distribuite in streaming da Netflix.