Multe e carcere per la diffusione di “notizie false” sul coronavirus, accesso per la polizia a dati sensibili da operatori telefonici e Internet provider: in Bulgaria alcune norme del “pacchetto emergenza” sul COVID-19 hanno scatenato il dibattito su libertà e diritti al tempo della pandemia
“Non esiste una definizione univoca di ‘informazione falsa’, ma su questa base si minacciano multe e carcere ai cittadini bulgari. Esperti, giornalisti, cittadini saranno costretti ad auto-censurarsi nel contesto di una trasformazione veloce delle nostre conoscenze sull’epidemia, e della necessità di confrontare posizioni alternative a riguardo”.
Con queste parole, domenica scorsa, il presidente bulgaro Rumen Radev ha motivato la sua decisione di porre il veto su parte delle misure di emergenza appena prese dal governo di Sofia per fronteggiare l’emergenza coronavirus, che di fatto hanno imposto al paese un blocco quasi totale.
I dubbi del presidente (eletto da indipendente, ma con il supporto decisivo del Partito socialista bulgaro-BSP), riguardavano in realtà vari aspetti delle norme votate venerdì scorso in parlamento in un’atmosfera al limite del surreale, con alcuni deputati presentatisi in aula non solo con la mascherina, ma in completa tuta protettiva, facendo somigliare l’aula ad una corsia ospedaliera.
Varie le direttive contestate da Radev: quella che si proponeva di calmierare i prezzi in tempi di crisi (proposta dall’opposizione socialista) e quella sull’uso dell’esercito come strumento di gestione dell’ordine pubblico, insieme alla mancanza di misure chiare a supporto delle attività produttive e dell’economia, che verranno duramente colpite dalla quarantena imposta per contenere l’epidemia.
“Informazioni false” e battaglia politica
Il presidente, però, ha dato particolare risalto alla norma che prevedeva di punire con tre anni di prigione e 10.000 leva di multa (5.000 Euro) “chi diffonde […] informazioni false sulla diffusione di epidemie”, e che nelle intenzioni del governo doveva restare in vigore anche dopo la fine della crisi in corso. Pene che, in casi particolarmente gravi, potevano essere portate a cinque anni di reclusione, e a multe fino a 50.000 leva (25.000 Euro).
Il veto presidenziale ha scatenato la rabbia del premier Boyko Borisov. “Non mi pare di aver visto la regina Elisabetta contestare le norme lanciate dal governo inglese, né alcun altro capo di stato europeo fare lo stesso”, ha dichiarato domenica Borisov in una conferenza stampa fiume, in cui ha accusato Radev di populismo e opportunismo politico.
Secondo il primo ministro le norme sulla criminalizzazione delle “fake-news” sul coronavirus avevano il solo scopo di evitare la diffusione di panico nella popolazione. “Mi pare che siano tutti d’accordo che le misure prese in Bulgaria siano le più veloci, le più puntuali e le più precise in tutta Europa”, ha chiosato Borisov.
Nonostante la sicurezza ostentata dal premier, il parlamento si è riunito nuovamente d’emergenza lunedì 23 per discutere e votare sul veto. Risultato: in meno di quindici minuti una maggioranza schiacciante ha sostenuto le posizioni del presidente, maggioranza che ha incluso i deputati del movimento “Cittadini per uno sviluppo europeo della Bulgaria” (GERB), la formazione politica creata e guidata da Borisov.
Un veto accolto in fretta
Lo stesso premier infatti, nonostante lo scontro istituzionale con Radev, ha chiesto al proprio gruppo parlamentare di approvare il veto, allo scopo di far passare in fretta e senza ulteriori ritardi il pacchetto di norme emergenziali già votate.
La velocità del voto, tuttavia, non ha impedito alle principali forze parlamentari di scontrarsi ancora sul concetto di “informazioni false” e sulle conseguenze dell’eventuale inserimento della norma contestata sulla libertà di espressione nel paese.
Secondo i deputati di GERB il concetto di “informazione ingannevole” è già presente nel codice penale da trent’anni, mentre l’opposizione socialista, per bocca del deputato e giornalista Aleksandar Simov, ha ribadito che “la libertà di espressione è il valore più importante in assoluto, e i cittadini non devono sentirsi intimoriti nell’esercitarla”.
Solo i nazionalisti della Organizzazione rivoluzionaria interno-macedone (VMRO) hanno insistito nel sostenere che la diffusione di “informazioni false” va punita con il carcere. Nei giorni scorsi il partito aveva già presentato una sua autonoma proposta di modifica delle norme su radio e televisione, che prevede reclusione, multe e oscuramento di media: tutte misure che nelle intenzioni della VMRO dovrebbero restare in vigore anche a crisi rientrata.
Condizioni per autocensura e repressione
“Nel codice penale bulgaro, effettivamente, ci sono norme che si occupano di limitare e punire gli abusi nella diffusione di informazioni ingannevoli e tendenziose, ma poco si adattano alla situazione attuale” ha dichiarato ad OBCT Simona Veleva, costituzionalista ed esperta di diritto nel settore dei media.
“La ‘verità’ su quanto sappiamo del coronavirus cambia in fretta, e non c’è modo di stabilire a priori cosa sia vero e cosa sia falso. Di certo però le pesanti e sproporzionate sanzioni previste avrebbero creato le condizioni per l’autocensura, e possono essere utilizzate arbitrariamente per reprimere voci non allineate e scomode”.
Secondo la Veleva il veto presidenziale e la sua approvazione sono quindi “positivi” e cancellano alcune storture di un pacchetto emergenziale approvato “in tutta fretta e in una situazione di caos generalizzato”.
Con la bocciatura del testo originale del pacchetto emergenziale, in Bulgaria resta quindi in vigore l’attuale testo di legge: “Chi diffonde per radio o telefono o mezzi alternativi chiamate truffa o false richieste d’aiuto, emergenza o pericolo, viene punito con la reclusione fino a due anni”.
Quarantena e controllo dei dati telefonici
E se la discussa norma sulle “informazioni false” è stata rigettata, il dibattito s’è incendiato su un’altra disposizione, altrettanto se non più controversa, emersa dopo la pubblicazione ufficiale delle nuove disposizioni sulla Gazzetta ufficiale.
Al fine di controllare le persone poste sotto quarantena obbligatoria, da martedì le forze di polizia bulgara possono richiedere e ottenere dagli operatori telefonici e Internet informazioni che riguardano le comunicazioni private dei cittadini.
Dai dati in questione, si potrà risalire alla posizione fisica di un cittadino, controllare con chi ha conversato e quali siti ha visitato (ma non il contenuto delle conversazioni o delle comunicazioni via Internet).
Il ministro degli Interni, Mladen Marinov, questa mattina ha rassicurato i cittadini dalla tribuna della televisione pubblica. “La nuova normativa riguarda soltanto persone sottoposte a quarantena obbligatoria, e la procedura continuerà ad essere vigilata dai tribunali. L’accesso ai dati telefonici e Internet dei cittadini da parte della polizia non sarà incontrollato”, ha dichiarato Marinov durante il programma d’approfondimento “Referendum”.
In molti restano però profondamente scettici sugli effetti reali delle nuove norme. “La legge approvata obbliga gli operatori telefonici e Internet a conservare per sei mesi dati che riguardano gli utenti, e a consegnarli immediatamente alla polizia in caso di richiesta da parte delle forze dell’ordine”, ha dichiarato al sito OFFNews l’avvocato Mihail Ekemdzhiev.
“Già in passato [in Bulgaria] abbiamo assistito a gravi violazioni sull’uso di intercettazioni e dati sensibili. Ora vogliono farci credere che la polizia si limiterà volontariamente a chiedere l’accesso esclusivamente in caso di cittadini sottoposti a isolamento sanitario. Ma credere che il ministero degli Interni sia in grado di autocontrollo è un’illusione”, ha concluso Ekemdzhiev.