Ogni anno, in occasione della Giornata internazionale per le donne, è necessario interrogarsi sul ruolo femmihile oggi, senza tralasciare le conquiste storiche che hanno segnato la sua affermazione ma guardando a quando ancora ci sia da fare.
Parlare nel 2020 di diritti da conquistare, di violenza contro le donne dovrebbe risultare obsoleto: e invece, no. A tutt’oggi troppi sono i casi in cui le donne vengono discriminate, sottopagate o subiscono violenza, sia fisica che psicologica.
Troppe le storie di ragazze, di donne che subiscono improperi di tutti i tipi, a cui non sempre trovano il coraggio di ribellarsi, di denunciare. Non sempre si trova la forza per uscire fuori da uno stato di sottomissione in cui, chissà per quali motivi e situazioni, ci si è ritrovati a precipitare. Una spirale abissale in cui si perde la propria libertà, la propria personalità. Si sprofonda in uno stato di paura da cui vedere la luce di una possibile rivalsa sembra impossibile. Eppure, vogliamo chiederci se sia ammissibile, dopo tutti i sacrifici che sono stati compiuti nella storia, non solo che alcuni uomini si comportino in questi modi riprovevoli contro il genere femminile, ma che le donne accettino, seppur talvolta obbligate, di essere trattate così.
Probabilmente parliamo ancora di violenza sulle donne perché proprio noi donne non ci siamo rese conto della nostra naturale parità con l’uomo, in quanto esseri appartenenti alla stessa specie e dotati delle medesime capacità intellettive. E, soprattutto, sia gli uomini che le donne non si sono resi ancora conto della necessità che hanno l’uno dell’altra, a cominciare dalla possibilità di creare nuova vita.
Nel 2020 essere donna è semplice? Nel mondo occidentale potrebbe esserlo, tutto sommato: le donne oggi possono votare, possono andare all’università, possono (nella maggior parte dei casi) aver riconosciuti i propri diritti. Ma non sempre è così, e per questo ancora si lotta. Eppure, pare così banale la risoluzione di tutti i problemi, a rifletterci su: ci chiediamo se sia davvero di difficile comprensione ammettere il principio di uguaglianza fisica, intellettiva ed emotiva tra uomo e donna. E no, non abbiamo sbagliato a scrivere: citiamo anche l’uguaglianza fisica dal momento che, a cavallo tra ‘800 e ‘900, tutta quella serie di cambiamenti avviata con la rivoluzione industriale, la società di massa e le due guerre mondiali, ha portato la donna ad essere efficiente sostituto dell’uomo. Ed è qui, probabilmente, l’inghippo dell’intera questione: la donna non può essere un ripiego, un sostituto dell’uomo. La donna deve essere riconosciuta in tutte le sue qualità e capacità, in un’ottica di cooperativismo tra i due generi del mondo per migliorare lo stato dell’esperienza vitale che entrambi affrontano e nel corso della quale si trovano ad incontrarsi. Ma non è una mera e prepotente presa di posizione, questa: è un voler conclamare maggiormente quella legge di natura secondo cui maschio e femmina sono necessari, in quanto tali a far sì, che vi possa essere riproduzione ed evoluzione.
Se avessimo il coraggio di astrarre questa regola e ripiantarla in tutti i casi della vita, in famiglia, sul lavoro, nel tempo libero, per strada, in una relazione, ogni cosa ne uscirebbe rivitalizzata e ulteriormente sfaccettata. Essere donna negli anni 2000 vorrebbe dire non dover più affrontare questi discorsi, non dover più battersi per aver riconosciuto un diritto naturale: essere donna negli anni 2000 vuol dire, invece, dover ricordare ancora le donne maltrattate, stuprate, uccise. Francamente, il mondo è stanco di violenza, di dolore. Avremmo bisogno solo di un po’ di pace, di un dibattito concreto, acceso, ma non violento: insomma, negli anni 2000 avremmo bisogno di quella necessaria e maturata saggezza che ancora stentiamo, accecati da potere e debolezza, ad afferrare.