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Sud Sudan, una speranza concreta di pace e sviluppo per il più giovane paese dell’Africa e del mondo

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Il 9 luglio del 2011 nasceva il più giovane paese del mondo, un nuovo stato, il 54° dell’Africa.
L’indipendenza del Sud Sudan, agognata a lungo e conquistata con una guerra civile che ha lasciato sul campo oltre 2 milioni di vittime e ha determinato una situazione umanitaria al collasso, appariva cruciale non solo per il futuro del nuovo governo ma anche per le realtà confinanti, Sudan del Nord compreso.
Sul paese nascente gravava un debito pubblico elevatissimo e un contesto sociale e infrastrutturale da rimettere in piedi, da ricostruire dal nulla. Tutto ciò era stato possibile grazie ai negoziati per la definizione e l’applicazione del Comprehensive peace agreement, l’accordo che nel 2005 sancì la fine del conflitto, continueranno dopo la separazione.
Nonostante tra Nord e Sud restassero ancora in sospeso diverse questioni chiave che grazie alla mediazione dell’Igad, organismo di cui fanno parte sei paesi dell’Africa orientale, furono messe a punto con il placet del capo del neo-Stato Salva Kiir e dell’allora presidente sudanese Omar al Bashir, la pace sembrava reggere.
Ma un anno e mezzo dopo scoppiava la guerra civile che ha arrestato il cammino verso lo sviluppo del paese.
Oggi a oltre 6 anni dall’inizio del conflitto civile, una crisi umanitaria che affama milioni di persone e un’economia al collasso il Sud Sudan ha ancora una speranza.
Il presidente sud sudanese Salva Kiir e il suo ex vice, poi leader ribelle, Rieck Machar dopo aver raggiunto un accordo di pace grazie alla mediazione italiana e all’intervento di Papa Francesco, il 22 febbraio hanno insediato il nuovo governo di unità nazionale.
La svolta era stata preannunciata nei giorni scorsi, al termine di un incontro che si era tenuto a Roma, nella sede della Comunità di Sant’Egidio per l’ultimo e decisivo round negoziale dal cessate il fuoco firmato proprio nella capitale lo scorso 12 gennaio.
“Se questo giorno storico è arrivato dobbiamo ringraziare Sant’Egidio che ha lavorato per creare le condizioni di un dialogo inclusivo. Ci siamo incamminati sulla strada giusta verso la pace, voluta fortemente da Papa Francesco, e ora abbiamo la grande responsabilità di portare avanti questo mandato” dice con la voce rotta dall’emozione Barnaba Marial Benjamin, inviato speciale del presidente Salva Kiir, raggiunto telefonicamente a Juba.
Un percorso lungo, interrotto più volte, quello che ha portato all’intesa per la nascita del nuovo esecutivo.
Nel settembre del 2018 ad Addis Abeba era stato firmato un primo accordo tra il governo e alcuni movimenti di opposizione. Ma la tregua fu violata poche settimane dopo. La guerra civile, scoppiata nel dicembre del 2013, aveva già causato 400mila morti.
Solo il grande lavoro di mediazione dei principali attori di questo processo di pace, in primis l’Italia, ha permesso di riprendere il tavolo dei colloqui e arrivare alla fine del conflitto.
Restano, tuttavia, numerosi fattori negativi che affliggono il Sud Sudan.
Il più giovane paese al mondo, nato nel 2011 dopo il referendum per l’indipendenza dal Sudan del Nord, è già schiacciato da un debito interno spaventoso e una corruzione diffusa nel governo.
Nonostante i volti dell’accordo di oggi siano gli stessi del passato, la speranza che questa volta sia quella buona appare concreta.
A pesare sono le affermazioni dei protagonisti, in particolare di Machar, ex leader dei ribelli, il quale ha affermato che nessuno minerà più il percorso di democratizzazione del Paese.
Parole mai pronunciate prima.
A favorire il buon esito della mediazione la garanzia della protezione per i membri dell’opposizione, ponendo così fine a una faida che ha lasciato sul terreno centinaia di migliaia di vittime.
Restano alcune questioni in sospeso, come la definizione del
numero degli Stati.
La Costituzione parla di 10 distinti poteri regionali ma, nel 2015, il presidente Kiir ha sancito una nuova divisione del territorio, istituendo 28 Stati, per poi farli diventare 32 nel 2017.
Decisioni che non sono passate da una riforma della Costituzione e ciò favorisce l’insorgere di nuove tensioni tra coloro che vorrebbero tornare alla conformazione originale e i neo -Stati che non intendono rinunciare alla propria autonomia.
Il nuovo governo dovrà fare i conti anche con una situazione umanitaria devastante.
Dall’inizio del conflitto, nel 2013, molte persone sono state sradicate dalle loro case, sfollate all’interno del Paese o in insediamenti di rifugiati nei paesi confinanti.
Secondo Amref, l’assistenza sanitaria in Sud Sudan è tra le peggiori del mondo ed è fornita per l’80% dalle Ong non dallo Stato.
La situazione alimentare è altrettanto grave. Un rapporto diffuso ieri da tre agenzie delle Nazioni Unite evidenzia che 6,5 milioni di persone nel Paese, oltre la metà della popolazione, rischia di trovarsi nella totale insicurezza alimentare nel picco del periodo di carestia previsto tra maggio e luglio.
“Nei prossimi mesi daranno 33 le contee a raggiungere il livello di “emergenza” di insicurezza alimentare, un netto incremento rispetto alle 15 di gennaio – racconta Joyce Asha Francis, capo missione di Ocha (l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari) a Malakal – Già dal mese scorso 5,3 milioni di sud sudanesi erano in difficoltà nel reperire cibo a sufficienza. La maggior parte delle famiglie riusciva a mangiare a malapena una volta al giorno”.
“Nonostante alcuni miglioramenti stagionali nella produzione alimentare, il numero di persone affamate rimane pericolosamente alto, e continua ad aumentare. Inoltre, ora c’è il problema degli sciami di cavallette, che potrebbero ulteriormente peggiorare la
situazione. È importante mantenere e incrementare il nostro sostegno alla popolazione del Sud Sudan, in modo che possa ripristinare o migliorare i propri mezzi di sussistenza e la produzione alimentare, e mettere in grado il governo di gestire
l’invasione di cavallette” aggiunge Meshack Malo, rappresentante della FAO in Sud Sudan.
Da febbraio è stato registrato un uleriore incremento della fame dovuto all’esaurimento delle scorte alimentari e agli elevati prezzi dei prodotti degli alimenti di prima necessità. E la situazione è destinata a peggiorare.


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