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Sea Watch 3, per la Cassazione Carola Rackete agì seguendo le regole del soccorso in mare

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Secondo la Corte di Cassazione Carola Rackete l’estate scorsa rispettò l’obbligo di soccorso in mare stabilito dalle convenzioni internazionali. Con questa sentenza, che arriva a sette mesi di distanza dai fatti, si chiude una vicenda che a tratti sembrava surreale. La Rackete, nella sua qualità di comandante della Sea Watch, aveva, appunto, soccorso dei naufraghi e poi aveva condotto la nave a Lampedusa. Per questo motivo era finita agli arresti domiciliari. Ma quando la Procura di Agrigento aveva chiesto la convalida della misura restrittiva della libertà il giudice delle indagini preliminari aveva opposto un fermo no, ampiamente motivato. In specie il gip, Alessandra Vella, aveva escluso il reato di resistenza e violenza a nave da guerra; circa la terza contestazione, ossia la resistenza a pubblico ufficiale, questa era stata giustificata dal gip con la scriminante dell’aver agito nell’adempimento di un dovere, ossia salvare vite umane in pericolo. Come si ricorderà quella decisione fu accompagnata da una serie di polemiche, alcune di chiaro sfondo razzista, oltre agli insulti sui social contro la giovane capitana la cui liberazione, però, venne accolta con grande calore e solidarietà dalle ong e dai gruppi di cittadini contrari alla politica restrittiva sugli sbarchi attuata in quel momento in Italia. Tutto ciò è avvenuto nei primi giorni di luglio. Nel frattempo è andata avanti la procedura relativa alle misure restrittive, con un successivo ricorso alla Corte di Cassazione che si è pronunciata in queste ore confermando la legittimità della decisione del giudice del Tribunale di Agrigento ed ha ribadito che “l’obbligo di prestare soccorso non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro”. Viene altresì sottolineato come la nave sia stata solo il tramite temporaneo del soccorso e che il “luogo sicuro” equivale ad un luogo in cui è garantito il rispetto dei diritti fondamentali delle persone. La Cassazione ha così rigettato il ricorso presentato dalla Procura in relazione alle misure restrittive della libertà di Carola Rackete, che non doveva dunque essere arrestata in quanto ha operato al solo fine di salvare vite umane, portando, appunto, i naufraghi a bordo della nave.


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