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Riprende il processo a Castellino e Nardulli per l’aggressione ai giornalisti de L’Espresso

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Riprende domattina (25 febbraio) il processo a carico di Giuliano Castellino e Vincenzo Nardulli per l’aggressione neofascista avvenuta al cimitero del Verano il 7 gennaio 2019 in danno del giornalista de L’espresso Federico Marconi e del fotografo Paolo Marchetti. I due militanti romani dell’estrema destra cercarono di bloccare con modalità violente un servizio che rientrava  nell’ambito di un’inchiesta più ampia sui rigurgiti delle associazioni neofasciste a Roma. In particolare Castellino, leader di Forza Nuova nella capitale, aveva cercato di evitare la registrazione delle immagini della cerimonia in memoria delle vittime di Acca Larentia che aveva radunato appunto un numeroso gruppo di esponenti della destra profonda.

Il processo, che vede come parte civile la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, rappresentata dall’avvocato Giulio Vasaturo,  oltre che le vittime dell’aggressione, rappresentate dall’avvocato Andrea Di Pietro, e il gruppo Gedi-L’Espresso, difeso dall’avvocato Paolo Mazzà, è partito con una udienza carica di tensione a settembre scorso; in aula sono stati presenti in massa e con molta spavalderia molti militanti di estrema destra. Nell’udienza di novembre scorso lo stesso Castellino, che all’epoca dei fatti era sottoposto a sorveglianza speciale, ha ammesso durante l’interrogatorio  che non avrebbe potuto essere lì proprio a causa della misura di prevenzione. Un fatto documentato quel giorno dai cronisti de L’Espresso, per quanto non sia stato inserito negli atti presentati dalla Questura di Roma. Il dibattimento viene seguito in aula anche da rappresentanti della Fnsi e di Articolo 21. Il calibro politico degli imputati sta rendendo il procedimento un simbolo di quanto sia complicato raccontare, ancora oggi, le trame “nere” a Roma. E lo dimostra la costante solidarietà dei militanti di destra a Castellino e a Vincenzo Nardulli, l’uomo che ha ricostituito il movimento Avanguardia Nazionale che anche in aula è stata “presente” con i simboli portati dai militanti, nonostante si tratti di un gruppo politico sciolto nel 1976 in base alla legge Scelba, la quale vieta, appunto, la ricostituzione di associazioni di ispirazione fascista, posto che la Costituzione vigente ha come base l’antifascismo.

 


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