Parasite è un film genialmente costruito sulla compressione sociale e psicologica della povertà. Da cui la famiglia Kim è schiacciata, tanto da convivere in quattro in un angusto sottoscala, tirando a campare con i lavoretti, che il turbo liberismo coreano (e non solo) lascia cadere come briciole a chi sta in basso. L’occasione di qualche soldo in più capita al figlio Ki-woo, quando un amico gli prospetta di sostituirlo nel dare lezioni d’inglese alla figlia di una ricca famiglia. Il ragazzo accetta e tutto sembra funzionare oltre ogni aspettativa, visto che non solo si guadagna la fiducia della madre, ma anche il cuore della figlia. Ki-woo potrebbe godersi il suo ottimo stipendio, ma la sua povertà, a contatto con la ricchezza, gli procura un trauma da emulazione: ora che ha scoperto il piacere del lusso, vuole anche lui vivere come i ricchi. Anzi, vuole che tutta la sua famiglia si liberi dall’oppressione della miseria e goda di quel ben di dio.
Il regista e co-sceneggiatore Bong Joon Ho non porta i personaggi sulle riflessioni politiche di chi riflette sull’ingiustizia sociale di cui è vittima, ma li getta in una corsa forsennata alla predazione. I Kim iniziano a muoversi come un branco ben organizzato e con un piano di spoliazione semplice ma efficace. Capiscono, come gli affamati sanno fare, qual è il soggetto debole dei ricchi Park – la moglie – e da lì s’insinuano sostituendosi man mano a tutta la servitù. Il giorno in cui l’intera famiglia lascia la casa per un week end, i Kim celebrano – soli nel lussuoso salotto – la loro vittoriosa espugnazione, gozzovigliando e sporcando come fossero i padroni. Ma il ritorno anticipato dei padroni mette i moto meccanismi di suspense, che vanno a sommarsi alla scoperta di altri poveri, divenuti prima di loro parassiti dei Park.
Tra i due gruppi della stesso stato sociale non scatta la solidarietà, ma una violenta contesa per l’esclusiva della preda. Tutto sembra sedato dai Kim e la festicciola che i Park organizzano presagisce il ritorno alla normalità. Ma l’umiliazione inflitta dal capofamiglia ricco a quello povero, tocca la sua dignità e scatena una reazione di una violenza crescente, fino a toccare il culmine del pulp alla Tarantino. La distruzione è ovunque. La scalata alla ricchezza da parte dei Kim è fallita. Chi è partito da un sottoscala ci torna, chiedendo il cerchio nella rassegnazione. E dopo la bufera, resta solo Ki-woo ad avere una speranza: non quella di vivere in una società più giusta, ma di diventare un giorno ricco anche lui. Mai un film ha mostrato con tanta introspezione quanto il capitalismo trasformi i poveri senza “coscienza di classe”, in acerrimi alleati dei ricchi. Nessuno mette in discussione la grande carcassa del sistema: grandi o piccoli, tutti sono parassiti.
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