26 febbraio 1983-26 febbraio 2020, 37 anni dalla prima marcia popolare antimafia del “triangolo della morte”- Altavilla, Bagheria, Casteldaccia- si ripete la mobilitazione degli studenti, dei cittadini e delle istituzioni. Preparata con assemblee nelle scuole della Rete comprensoriale Bab Al Gherib, con sedute aperte al dibattito col pubblico dei consigli comunali della zona, con le adesioni dell’Arcidiocesi di Palermo, della Caritas, dei sindacati, delle Acli, del Gal, di tante associazioni tra le quali spiccano quelle storiche antimafia non decorative e di cartone, ma militanti e combattenti -da Libera alle Fondazioni Borsellino, Chinnici, Costa, Falcone, al Centro Impastato, al CELM-. La marcia del 1983 fu definita popolare perché, promossa dal Comitato popolare di lotta contro la mafia di Casteldaccia, epicentro degli assassini durante la seconda guerra di mafia, vide una larga partecipazione di laici e religiosi, di ampi strati popolari di ogni tendenza politica e la presenza massiccia del movimento studentesco. Non per caso nelle assemblee preparatorie della manifestazione di mercoledì prossimo nelle scuole e nella società civile si ritrovano diversi professori e cittadini che allora vi parteciparono da studenti, e saranno gli studenti di oggi a concluderla con i loro interventi nella Piazza di Casteldaccia.
Una marcia solo per ricordare? No! La marcia del 1983, dopo le lotte storiche contadine e della sinistra contro la mafia, segnò l’avvio di una rivolta popolare, trasversale, unitaria della società e dello Stato. In quella fase nacque, infatti, la prima legge antimafia, dopo 122 anni dall’Unità d’Italia; si formarono il primo pool antimafia di magistrati e la specializzazione delle forze dell’ordine che grazie alla Rognoni-La Torre col maxiprocesso mandarono in galera gli associati alla mafia; fu sconfitta la vecchia mafia che tentò di asservire lo Stato al suo potere, essa che era stata, ed è ancora, servente di una parte della classe dirigente del paese.
Ma le organizzazioni criminali di stampo mafioso,seppur indebolite, non sono scomparse, si sono adattate alla trasformazione della società, dell’economia , della finanza e della politica. Hanno usato meno l’assassinio, ma non hanno abbandonato la minaccia della violenza e l’intimidazione che ne deriva. Hanno saputo, attraverso la corruzione, penetrare nei vari livelli economici, finanziari e istituzionali, soprattutto più bassi, senza rinunciare alla ricerca di collusioni politiche per offrire i loro, voti seppur ridotti rispetto ai vecchi tempi. Tentano di controllare il territorio attraverso le estorsioni e il controllo dei traffici illeciti come il narcotraffico.
Tutto ciò non ha impedito, anzi ha favorito, la crescita di una maggiore consapevolezza sociale della pericolosità del fenomeno mafioso, delle sue ricadute negative sul tessuto economico, sociale e democratico del paese, dove attecchiscono. Il perseguimento dell’arricchimento, vero filo conduttore della storia delle mafie, ha contribuito e contribuisce ad aggravare la povertà assoluta, la disuguaglianza, l’ingiustizia sociale soprattutto nella fase storica contemporanea, dopo la caduta del muro di Berlino, dominata dal pensiero unico del neoliberismo. Sappiamo tutti che per contrastare e cancellare le mafie dal nostro presente e dal nostro futuro occorre eliminare le cause sociali e politiche che lo hanno favorito rinunciando alla giustizia sociale, ai diritti della persona e del lavoro.
Anche per tali motivazioni politiche ed etiche la marcia del prossimo mercoledì si muoverà contro ogni forma di violenza, disuguaglianza e disagio sociale per rivendicare una democrazia solidale e compiuta. Rivendicherà libertà per Patrick Zaki, verità per Regeni come per tutti i delitti politico mafiosi delle guerre di mafia del nostro paese, ricordando il 40°dell’uccisione di Piersanti Mattarella e il 20° della Convenzione ONU Palermo 2000, perché alcune vicende di mafia, nella storia della nostra Repubblica, sono apparse intrecciate con disegni e manovre geopolitiche, con deviazioni di pezzi di corpi istituzionali, con le stesse mafie transnazionali. Dalla Strage di Portella agli omicidi di Mattarella e La Torre, alle stragi del 1992/93 si sono intravisti anche interessi internazionali legati al clima di guerra fredda di allora. Oggi anche i traffici internazionali di droga, armi, rifiuti, migranti pongono l’esigenza di un’attenta analisi delle relazioni tra questi crimini e le politiche dei vari governi nazionali e degli organismi internazionali e sollecitano impegni comuni di contrasto.
Non sarà dunque una semplice passeggiata, ma un modo pacifico, democratico per riflettere e far riflettere la nostra classe dirigente sulla priorità del contrasto, non solo repressivo, ma politico e preventivo, alle nuove mafie, sinora poco presente nelle politiche pubbliche dei governi regionali e nazionali. Queste devono rimuovere, come ricordiamo spesso, ogni ostacolo per affermare i diritti di ogni cittadino e ogni comunità – al lavoro, allo studio, alla dignità umana, alla democrazia e alla libertà- come prescritto dalla Costituzione.