Patrick George Zaki, attivista e ricercatore egiziano di 27 anni, si trova dall’8 febbraio in detenzione preventiva nella città di Mansoura ed è previsto che vi resterà per almeno 15 giorni.
Patrick era partito da Bologna, dove frequenta un prestigioso Master presso l’Università di Bologna, per trascorrere un periodo di vacanza nella sua città natale, Mansoura, in Egitto. Una volta atterrato all’aeroporto del Cairo, la notte tra il 6 e il 7 febbraio, è scomparso per 24 ore. Nessuno, compresi i suoi genitori, è stato inizialmente informato del suo arresto.
La sensazione è che si tratti dell’ennesima persecuzione verso un attivista: lo dicono la storia di Patrick e la storia dell’Egitto sotto Al Sisi.
I suoi avvocati hanno denunciato che ha già subito minacce ed è stato picchiato e torturato con scosse elettriche.
In questa situazione di detenzione preventiva, prorogabile per tutta la durata delle indagini, il rischio di tortura è elevato.
Patrick George Zaki collabora con l’associazione egiziana Iniziativa egiziana per i diritti della persona (EIPR), che in una nota stampa ha diffuso la lunga lista di capi d’imputazione che sarebbero stati attribuiti all’attivista, tra i quali: “diffusione di false notizie che disturbano l’ordine sociale”, “incitamento a protestare per minare l’autorità dello Stato”, “incitamento alla destituzione del governo”.
Come in altri casi, il rischio è che i reati imputati a Patrick si riferiscano in realtà a legittime attività di denuncia, di informazione, di commento pubblico, di ricerca o critica: alibi per legittimare una procedura del tutto illegale.
Con una lettera all’ambasciatore egiziano a Roma, abbiamo subito espresso le proprie preoccupazioni per la situazione dello studente egiziano.
Qui il testo dell’appello: