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L’Europa delle istituzioni riunita a Trento per la Fondazione Megalizzi

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L’Europa si è riunita a Trento per ricordare Antonio Megalizzi: la società civile, le istituzioni della politica europea, nazionale, fino alle autorità regionali e provinciali, insieme alla famiglia di Antonio, i suoi compagni di studio dell’Università di Trento, gli amici, la Federazione nazionale della stampa, il Sindacato giornalisti del Trentino Alto Adige, l’Usigrai, Articolo 21 con l’intento di dare vita alla fondazione intitolata al giovane assassinato a Strasburgo nel mese di dicembre del 2018. Il 13 e 14 febbraio rappresentano per la città di Trento ma anche l’Italia stessa, la volontà di proseguire il lavoro e le idee che erano alla base dell’impegno intellettuale e giornalistico di Antonio fatto di passione, dedizione, conoscenza al fine di trasmettere i valori fondanti di una democrazia europea unita. E chi ha armato la mano per togliere la vita a Megalizzi ha perso; come ha voluto spiegare Antonio Tajani (ex presidente del Parlamento europeo) dal podio della sala Depero nel palazzo della Provincia autonoma di Trento per la cerimonia di inaugurazione alla presenza di David Sassoli presidente del Parlamento europeo.

 

«Chi ha vinto? Il carnefice o la vittima? Il terrorista o il giornalista? Noi possiamo dirlo: ha vinto la vittima più forte del violento e le sue idee non sono state cancellate. Antonio credeva in quei valori positivi di un’Europa che non cancellasse l’Italia e l’integrazione tra i popoli. La sua forza di fare il giornalista radiofonico – ha ricordato Tajani visibilmente commosso ed emozionato (lui stesso è stato giornalista in radio) – ha contribuito molto per costruire la democrazia europea e far capire come si svolgevano i lavori del parlamento. Ascoltava con attenzione e attraverso il suo sacrificio ha vinto l’amore che traspare nei visi dei genitori Annamaria, Domenico, della sorella Federica, e di Luana che ne è stata la fidanzata. L’amore che resta e si trasforma in un’azione concreta. Non dobbiamo mai dimenticare quei valori che ci spingono ad andare avanti e ci permettono di vincere la violenza. È un atto d’amore aver creato la fondazione per permettere a tutti di usufruire in dono quello che Antonio sapeva creare e trasmettere. Quella sera tragica a Strasburgo (era l’11 dicembre del 2018, ndr) decisi di far restare tutti in aula del Parlamento da dove era uscito Antonio dopo la sua intervista e non cedere alla violenza».

Riavvolgendo il nastro delle due giornate così intense per la città di Trento e la partecipazione di una comunità che si riconosce nella sofferenza e nel dolore di una famiglia segnata da un lutto la cui compostezza è segno di grande sensibilità, la cronaca degli eventi che si sono susseguiti inizia giovedì 13 febbraio dove si è svolta una breve cerimonia nel giardino del dipartimento di Lettere e Filosofia di Trento con la scoperta di una stele dedicata, accanto all’albero di ulivo piantato un anno fa in ricordo della vittima come segno di pace. «Ad Antonio Megalizzi che ha inseguito il sogno di un’Europa giusta, libera e unita nella diversità attraverso la sua passione per la verità nella formazione e nell’informazione», queste le parole a lui dedicate e lette in pubblico dal rettore dell’Università Paolo Collini. Intorno in una sorta di abbraccio ideale il sindaco Alessandro Andreatta, l’assessore all’istruzione e cultura Mirko Bisesti, il prefetto di Trento Sandro Lombardo commissario del Governo, don Marco Saiani vicario generale dell’Arcidiocesi trentina, i famigliari e Luana Moresco la presidente della Fondazione Megalizzi.

 

 

 

«Con la perdita di Antonio c’è stata un risveglio delle coscienze e la volontà di far conoscere a tutti cos’è l’Europa ma non è vero che i giovani non siano interessati a farlo e lui ne era la prova sapendo rappresentare bene i suoi coetanei; questo ha fatto si che ora si possa portare avanti un messaggio di pace e di fratellanza. Siamo davanti ad un vuoto incolmabile che però porta con sé il messaggio indelebile di un cittadino consapevole che voleva costruire un futuro fatto di concretezza per sé e per gli altri. La sua convinzione era quella di un’Europa per un mondo migliore». Il sindaco Andreatta ha scelto di fare anche un’autocritica collettiva nei confronti di un problema comune a tanti: «Antonio ci manca perché conta molto ancora per i suoi coetanei e per tutta la nostra città. Era un punto di riferimento per molti e noi tutti, ognuno nei rispettivi ruoli diversi, non ci siamo impegnati di più verso i giovani europeisti e cittadini trentini, capaci di guardare avanti. Lui ci ha donato un sogno e noi dobbiamo contraccambiare con del tempo per condividere i suoi sogni, il primo tra tutti quello europeista che lui gradirebbe».

Tra il pubblico c’erano molti ex studenti e amici di Antonio i cui visi esprimevano bene il dolore ancora presente per l’assenza di un loro compagno di studi e di impegno sociale culturale e civile. L’assessore Bisesti ha voluto ricordare anche Barto Pedro Orent-Niedzielski, chiamato da tutti Bartek, rimasto ucciso insieme ad Antonio, uniti insieme dalla passione di raccontare l’Europa alla radio. In totale le vittime della follia stragista erano state cinque. «Dobbiamo continuare ad unire l’Europa grazie a quello che ci ha insegnato Antonio e tutti insieme possiamo dare molto di più. La vicinanza umana nei confronti del sentimento che Antonio ha fatto scaturire ci deve impegnare a diffondere e continuare lo spirito e la forza che lui stesso possedeva. Dobbiamo farla nostra per andare avanti». Il prefetto Sandro Lombardi si è rivolto ai famigliari riconoscendo loro «la compostezza di voi genitori e Antonio rappresenta il meglio della gioventù, a differenza di chi pensa sempre male dei giovani, lui era impegnato culturalmente come cittadino dell’Europa grazie alla passione per la radio. Antonio si è immolato per consentire agli altri giovani di andare avanti per il bene e non per il male». La parola poi è passata a don Marco Saiani che ha voluto esprimere vicinanza a tutte le vittime cadute per mano dei terroristi: «negli “anni di piombo” le vittime si sono sacrificate per mano dei terroristi e questo sacrificio deve essere ricordato sempre. La possibilità di risorgere e donare maggiore consapevolezza nel credere in un’Europa più unita ora Antonio ci permette di farlo. Nel Vangelo c’è scritto che un seme sepolto sotto terra muore ma da qui nasce una pianta, come l’ulivo deposto in questo giardino (situato all’interno del Dipartimento di Lettere e Filosofia di Trento, ndr) e i suoi rami rigogliosi esprimono il bisogno di sentirci tutti uniti».

La breve cerimonia si è conclusa con l’intervento di Luana Moresco che ha ricordato l’impegno di Antonio e l’amore per la prospettiva accademica e l’approccio alla conoscenza totalizzante. Il suo percorso di studi e di conduzione radiofonica era iniziato nel mese giugno del 2014 con l’esperienza presso la sede Rai di Trento come autore e speaker del programma “Tesi di laurea – La Movida delle idee” in onda su Radio 2. Nel frattempo, si era laureato in Scienze della Comunicazione a Verona, conseguendo anche un corso di alta formazione in Social Media Marketing, per poi iscriversi nuovamente a Trento ad un Master in studi europei e internazionali. Nel pomeriggio della stessa giornata a Palazzo Geremia si è svolta la presentazione del libro di Paolo Borrometi “Il sogno di Antonio” (edizioni Solferino) con la moderazione di Marino Sinibaldi direttore di Rai Radio 3 e la partecipazione di Giuseppe Giulietti (presidente della FNSI)  Corrado Bungaro assessore alla cultura del Comune di Trento, Massimo Gaudina (rappresentante della Commissione europea di Milano), Federica Megalizzi, Vittorio Di Trapani (segretario Usigrai), Luisa Antoniolli (docente della scuola di studi internazionali di UniTrento) che Antonio conosceva bene in quanto sua insegnante. Ilaria Garampi studentessa della medesima scuola che frequentava insieme ad Antonio lo ricorda così: «Ci ha lasciato tanto ed difficile da raccontare e ricordare, la sua passione politica capace di essere trasmessa a tutti noi. Non era uno studente che voleva ottenere la laurea ma si era iscritto per conoscere meglio l’Europa. Entrambi avevamo superato un esame e dovevamo decidere di accettare il voto facendo la richiesta al nostro professore per poi partire per l’Erasmus. Non eravamo convinti se accettarlo o rifiutarlo e lui alla fine decise per il no motivando la sua scelta. Voleva studiare meglio la materia. Ora noi tutti abbiamo sentito la necessità di portare avanti i suoi sogni».

Luisa Antoniolli ricorda Antonio come un suo studente molto impegnato sul tema delle violazioni dei diritti umani (nel corso della presentazione del libro di Borrometi il pubblico si è alzato in piedi esponendo un cartello con la scritta free Patrick George Zacky, un appello per liberare lo studente egiziano in carcere per aver scritto sui social un giudizio sulle politiche della sua nazione), e «Megalizzi aveva condotto una ricerca sullo stato di diritto in Ungheria e Polonia. Io non ho un ricordo di una persona ironica (nel corso del dibattito molte le testimonianze, tra cui quella della sorella Federica che ricordano un Antonio allegro e vivace, di spirito e molto ironico, ndr), ma di uno studente serio e pacato, rigoroso e poliedrico. Ritengo di avere un grande privilegio nel poter insegnare ai giovani ma allo stesso tempo di vivere la frustrazione  per analizzare un’Europa così complessa e difficile nella sua gestione. Facciamo il mestiere più bello del mondo che è quello di farsi delle domande e darsi delle risposte. I giovani sono attenti – ha proseguito la docente – nel portare fuori dall’Università le idee e propagarle. Antonio aveva una visione critica dell’Europa burocratica ma spesso ripeteva “mi sono innamorato dell’Europa” ma per farlo bene ci vogliono strumenti tecnici per affrontarla e lui era in grado. Voglio anche esprimere un ringraziamento sentito per l’attenzione e l’impegno che tutti voi dedicate al suo ricordo». Un discorso ripreso da Marino Sinibaldi che ha spiegato come Antonio era in grado di teorizzare la libertà. «Dalle parole che abbiamo ascoltato la sensazione provata è quella di una scoperta, di un’immagine non falsata ma incompleta di Antonio all’inizio nel cercare di capire come era fatto. Ci sono elementi di post verità e un uso di un linguaggio che sapeva usare molto bene». “Il sogno di Antonio” è un libro che raccoglie una serie di scritti redatti dal giovane Megalizzi e una parte biografica sulla sua vita, testimonianze della famiglia, seguendo le indicazioni che Annamaria, Domenico, Federica e Luana hanno trasmesso a Paolo Borrometi presidente di Articolo 21. Vittorio Di Trapani presentando l’autore ha colto un elemento essenziale: «leggendo il libro si possono smontare gli stereotipi che accusano i giovani. La RAI , Radio Rai 3 , Rai News 24 ha già dato dimostrazione di portare avanti le idee di Antonio, trasmettendo registrazioni radiofoniche condotte da Megalizzi e documentando anche in futuro le iniziative che verranno organizzate (il mandato della Fondazione è quello di promuovere una cultura dell’informazione e divulgazione rivolta ai giovani, ndr), insieme a EuroPhonica e UniRadio».

 

Giuseppe Giulietti nel suo discorso apprezzato dal pubblico per la sua “veemenza e passione” – come una signora ha voluto ringraziare di persona al termine della presentazione – , ha ricordato come da Trento, nel 2019 durante la Giornata mondiale della libertà di stampa, si era parlato di Giulio Regeni e in questa occasione c’è l’apprensione per la sorte di Patrick George Zacky: «i genitori di Giulio hanno scritto il libro “Giulio fa cose” e anche Antonio fa cose. Se non ci alziamo e diciamo che una persona non può essere torturata e uccisa, non rispettiamo l’ideale che Antonio aveva sulla libertà e i diritti di tutti. Dobbiamo capire in suoi percorsi e gli ideali e trasformarli in azione; non lasciare sole le famiglie delle vittime altrimenti quando cala il buio vengono colpiti due volte. Devi tentare che quell’eredità non svanisca e citare il nome di Antonio significa che lui continua a vivere, il tema dei diritti sono ponti come strumenti di conoscenza. Fare come gli indiani e mettere l’orecchio per terra e sentire e la Fondazione deve essere luogo di differenze e delle diversità per contrastare il narcisismo dominante. Nessuno deve appropriarsi del suo nome e averla fatta nascere è grazie al contributo di tante persone diverse. Esiste un percorso all’interno del libro di Paolo: non è facile scriverlo sotto scorta e minacciato. Ha un filo conduttore che lega nomi di altri studenti italiani come Silvia Romano (rapita in Africa), Valeria Soresin (assassinata nella strage del Bataclan a Parigi), Giulio Regeni: tutti si occupavano degli altri e i ponti ti consentono di incontrare le diversità. Dobbiamo portare avanti noi tutti il contrasto alle fake news (Antonio Megalizzi si dedicava al tema con particolare attenzione, ndr) e impegnarci di portare al Parlamento europeo un documento contro l’odio propagato dalle fake news. Indire corsi di formazione permanente e se leggiamo gli scritti di Antonio si comprende bene come lui avesse uno stile elegante, profondo, distinto dal garbo in cui sapeva esprimersi».

Prosegue


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