A quattro anni dalla scomparsa è impossibile racchiudere in poche pagine la enorme personalità di Umberto Eco, ma prendendo esempio da lui cercheremo di racchiudere un macrocosmo in uno spazio paragonabile alla sua felicissima “Bustina di Minerva”, argomentando e prendendo spunto dai suoi sapidissimi editoriali. Nel titolo della rubrica, come affermato nella prima “bustina”, si coglieva proprio il ‘messaggio’ quasi estemporaneo, se non provvisorio, di appunti scritti sull’esiguo spazio del risvolto dei fiammiferi, oggetto (esiste ancora?) che, in qualche modo, ricorda un microscopico libro, dove, dentro un cartoncino colorato, tra la seconda e la terza di “copertina”, poteva trovare posto una vita intera. In pochi centimetri quadri.
Eco così riuniva in una pagina una vicenda che dava la misura dell’epoca degli eventi rappresentati. Sempre con sagacia, spesso umorismo, costantemente con grande onestà intellettiva ed ampia chiarezza di vedute. Molto più che articoli: piccoli grandi saggi, utilissimi messaggi mai criptati, righe sempre votate alla ricerca di qualcosa che potesse avvicinarsi alla verità, “una” verità “per come” un essere umano possa percepire, con scienza e coscienza. Eco disponeva di entrambi. La sua poderosa capacità di sintesi gli permetteva, unico giornalista in Italia, di intitolare i suoi articoli, stante che invece, per consuetudine, il titolo spetta al redattore, come la copertina al direttore.
Ma la più grande qualità degli scritti su L’Espresso era l’assoluta mancanza di enfasi, una raffinata e naturale sobrietà che poneva il “giornalista” Eco in una condizione di assoluta “laicità”, di pensiero ed espressione. Certamente non mancavano a lui gli strumenti verbali per colpire al cuore ed al ventre il lettore; grande semiologo, amico/allievo di Pio Baldelli, avrebbe potuto raggiungere qualunque bersaglio proibito, ma la sua prosa era sempre coerente ed onesta.
Immaginando una stratificazione negli anni delle “bustine”, si ottiene un vero e proprio spessore di utili “segnali”, un insieme di sentimenti che ci offre e dona uno strumento impensato, volutamente tralasciato da Eco: una sobria poetica.
Oggi è più forte il lutto, veramente, restando inevasa la domanda: “cosa ne direbbe Eco?”. Il lutto è ancor vivo per la perdita di un padre culturale, che, nel continuo suo osservare il mondo, ci ha sorretto per mano. Senza nascondere nulla, senza soverchi incoraggiamenti. Che la notte resta comunque buia, oggi ancor di più.