Di Beppe Pisa
Nessun appoggio esterno al governo. O Italia viva sta dentro l’esecutivo, con pari dignità e rispetto da parte del premier e delle altre forze politiche alleate, o starà fuori. E se Giuseppe Conte vuole fare a meno dei renziani, prego si accomodi, ma bisogna vedere se ha i numeri per andare avanti. Matteo Renzi, forte di due nuovi arrivi tra le sue truppe, prepara l’affondo finale, precisando che non è Italia viva a voler uscire, ma è stato il presidente del Consiglio, secondo quanto fatto trapelare in questi giorni da palazzo Chigi, a voler fare a meno dei renziani. Eppure, è la convinzione dell’ex premier, l’operazione ‘responsabili’ è fallita, e adesso se Conte vuole andare avanti deve darsi da fare, soprattutto sul fronte economia. Al termine di una nuova giornata di fibrillazioni interne ai giallorossi, con il rischio della spaccatura definitiva sul tema intercettazioni, Renzi riunisce i parlamentari di Italia viva a cena e ostenta sicurezza. La legislatura andrà avanti, è la convinzione, fino alla scadenza naturale, nel 2023, purché si imprima una “scossa”, e a precise condizioni, spiega ai suoi. Condizioni che saranno al centro del messaggio che mercoledì il leader di Iv lancerà dal salotto di Vespa. Un messaggio, viene spiegato, che sarà rivolto alle forze politiche.
Insomma, l’ex premier è pronto a lanciare una nuova offensiva, una vera e propria sfida allo stesso Conte e agli alleati di governo. E se il loro obiettivo è far fuori Italia viva, la conta si farà solo in parlamento. In altre parole, per il senatore di Rignano parlano i numeri. “Se il presidente del consiglio ha i numeri per andare avanti senza di noi, come ha fatto credere palazzo Chigi, va benissimo, gli facciamo un grande in bocca al lupo, è la democrazia parlamentare, se invece i numeri non ci sono verificheremo in Parlamento quello che c’è da fare”, dice prima di festeggiare con i parlamentari di Iv i nuovi ingressi di Rostan e Cerno. E rispetto alle voci, circolate in giornata, di un possibile appoggio esterno, Renzi taglia corto: “Sono termini che andavano bene nella Prima Repubblica, oggi sono cose che non hanno senso. O stai dentro o stai fuori”. Insomma, insiste, “per me il presidente del Consiglio deve lavorare, nessuno di noi ce l’ha con lui. Abbiamo detto che sulla giustizia non siamo d’accordo e che sull’economia c’è bisogno di darsi una mossa perché la situazione del Paese è molto difficile, sono preoccupato per i numeri dell’Italia a livello economico”. Sta dunque a Conte, ribadisce Renzi, dimostrare di avere le carte in regola per andare avanti. Quanto a Italia viva, “noi non abbiamo mai detto di voler stare fuori. Abbiamo letto sui giornali che vogliono sostituirci e cosa fanno i giocatori se l’allenatore li richiama in panchina? Diciamo: bene, entri il sostituto. La domanda è capire se c’è o meno il sostituto”.
Sulla giustizia il barometro della maggioranza continua a segnare tempesta
Il nuovo braccio di ferro tra Italia viva e gli alleati nasce da un emendamento presentato dal senatore di Leu Pietro Grasso, che – intervenendo dopo la pronuncia delle sezioni riunite della Cassazione – prevede la possibilità di utilizzare le intercettazioni anche per i reati per i quali non si sta indagando, purché siano reati per i quali è previsto l’utilizzo degli ascolti. Il testo è già una riformulazione, arrivata dopo un vertice a via Arenula la scorsa settimana, al quale anche i renziani erano presenti. Ora però Italia viva dice no. I lavori della commissione Giustizia del Senato si bloccano più volte. Una riunione con il Guardasigilli Alfonso Bonafede non serve a risolvere l’impasse. Il partito di Matteo Renzi si dice pronto a votare “lealmente” la fiducia al testo proposto da Bonafede e approvato dal Cdm . “Chi votasse emendamenti non condivisi con il resto della coalizione sarebbe responsabile della rottura della maggioranza”, è l’avvertimento. E, in realtà, in commissione la maggioranza rischia di andare sotto. Se il senatore di Iv Giuseppe Cucca votasse con le opposizioni finirebbe 12 a 12, con la conseguente vittoria dei no – come previsto dal regolamento di palazzo Madama. Gli alleati si fermano un metro prima del precipizio. Arrivano il ministro per i Rapporti con il Parlamento D’Incà e il responsabile giustizia dem Walter Verini. Si lavora a una mediazione. La delegazione di Italia viva la sottopone direttamente a Matteo Renzi, che segue la vicenda dal suo ufficio di palazzo Giustiniani. A sera si arriva a un mezzo accordo e a un nuovo rinvio. Grasso ritira il suo testo e il relatore Mario Giarrusso presenta una nuova proposta di modifica, ma Iv non è ancora del tutto convinta. Il leader, in Transatlantico, dispensa ottimismo: “Hanno ritirato l’emendamento Grasso e questo è positivo. Ora giuridicamente stanno cercando l’accordo sulla base della sentenza della Corte di Cassazione”, dice. L’ex presidente del Senato lo sente e allarga le braccia. Poi la quadra arriva in un subemendamento. L’ok dovrebbe esserci mercoledì e poi il Governo dovrebbe blindare il provvedimento in aula con la fiducia. Mentre al piano ammezzato di palazzo Carpegna i pontieri lavorano, a palazzo Chigi vanno avanti i tavoli presieduti da Giuseppe Conte. Europa, Autonomia e, per l’appunto, giustizia, i temi sul tavolo. La linea del premier non cambia: l’obiettivo resta impiegare tempo e risorse “per lavorare e non per alimentare polemiche”. Il capo del Governo apprezza lo “spirito costruttivo” con il quale “tutte” le forze di maggioranza hanno lavorato e “condiviso l’obiettivo di imprimere la massima accelerazione all’agenda di Governo”. Lo scontro, però, è solo rinviato. Renzi non intende mollare la presa. Anzi. “Se qualcuno vuole sostituire Conte senza andare a votare, il momento è adesso. Perché c’è Il referendum e fino ad ottobre non si può votare”, ragiona con i suoi. Inutile dire che quel qualcuno potrebbe anche essere lui stesso. L’ex premier riunisce a cena a Trastevere i fedelissimi, e annuncia l’ennesima suggestione. Una nuova ‘mossa del cavallo’ (titolo del suo prossimo libro, ndr).