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Eja eja…Ma va là! Intervista a Moni Ovadia

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Sullo sfondo il santuario di San Luca, al muro una scritta agghiacciante: «A Fiume si gridava Eja Eja Alalà»; a poche centinaia di metri un plesso scolastico “secondario” e una scuola materna. A firmare l’indegna frase, una sigla che a Bologna vuol dire ben altro; ma con a fianco la stilizzazione di un fascio littorio, anche il “ben altro” assume aspetti angoscianti.

Non è il solito simbolo che trasuda ignoranza e ignavia; non è una frase fatta, un luogo comune di cui non si conosce il significato: «A Fiume si gridava Eja Eja Alalà» esprime conoscenza di ciò che si vuole comunicare agli altri.

È lì da qualche giorno, senza che nessuno al Battindarno di Bologna, abbia ancora pensato a cancellarla. Un richiamo alle recenti celebrazioni delle Foibe?

Cosa ne pensa, Moni Ovadia; perché quella scritta colpisce più di altri simboli pur infami che son comparsi in altri luoghi, in altre condizioni? «Colpisce perché rientra in quella narrazione che viene descritta da Francesco Filippi nel suo libro Mussolini ha fatto anche cose buone. Il fascismo si è polarizzando sui propri miti: e Fiume è un mito del fascismo. In questo caso, consideriamo che la città di Fiume oggi è croata; leggere una frase del genere spaventa perché sembra che si voglia riaprire un idiota discorso nazionalistico, con una voglia di scontro inaccettabile oggi in Europa».

Di chi è la colpa, se a Bologna compare una scritta del genere? «Di chi ha avviato un processo di equiparazione tra Partigiani e Ragazzi di Salò: Luciano Violante. È stato ripugnante, quel discorso. Io mi rifaccio invece alla distinzione aurea di padre David Maria Turoldo, il quale divideva i “morti per odio” dai “morti per amore”. I Ragazzi di Salò gridavano Eja Eja Alalà, ma inneggiavano anche al genocidio, agli stermini. A un duce pagliaccesco e vigliacco, che ha tradito i suoi camerati ebrei; ha tradito la sua amante ebrea, Margherita Sarfatti, alla quale ha pur riconosciuto importanti meriti. Dobbiamo dire che è questo il fascismo; invece che cicaleggiare nei talk-show, bisogna condannare il fascismo per quello che è. Quando la Meloni dice di non riconoscersi nel fascismo, ma poi dice “Dio, Patria e Famiglia”, chi è seduto nello studio televisivo deve alzarsi e andarsene. Noi, tutti noi, viviamo all’interno di una società fondata sull’antifascismo. Io non mi ritengo un genio, ma voglio fare un’osservazione: se qualcuno non è d’accordo con i nostri valori fondanti, cambi la Costituzione; e poi ne potremo parlare».

Qual è la soluzione a questa situazione; al vedere scritta una frase del genere su un muro di una città come Bologna? «Bisogna che sia chiaro: il fascismo è un crimine. Punto. Dovremmo fare servizi in televisione, da far vedere ogni volta prima di un film, prima di un telegiornale, di un qualsiasi programma. Dovremmo – e io mi metto a disposizione, per questo – spiegare che Eja Eja Alalà è una mostruosità; e non un ritornello simpatico. Il Giorno della Memoria, le celebrazioni delle Foibe, dobbiamo riprenderli in mano noi che siamo contrari al fascismo; e i fascisti non devono parlare. Zitti! Organizziamo un convegno sul tema, invitando il primo ministro croato, gli storici di tutte le parti. Facciamolo a Milano, mi prendo l’impegno di parlarne con il sindaco Sala. Facciamolo a Bologna, a Roma. Portiamo in giro la conoscenza di quello che è accaduto. Perché se non ci fossero state le stragi dei fascisti, non ci sarebbero state le rappresaglie dall’altra parte. Bisogna conoscere, comprendere i passaggi storici. Mi rifaccio alle parole di Primo Levi: “Capire, non giustificare”. Vorrei organizzare una mostra e intitolarla: “Se avessero vinto loro”, per spiegare quale sarebbe stata la differenza».

È possibile una convivenza, tra fascismo e antifascismo? «A Milano, ricordo di storie di edicolanti fascisti e partigiani zoppicanti per le torture di fascisti che andavano ad acquistare il giornale da loro. E quando si temette per la chiusura dell’edicola, i soldi per salvare la rivendita gestita da un ex fascista arrivarono da un ex partigiano. Ma il fascismo di oggi è un’altra cosa è un cortocircuito psicopatologico; ma davvero rivogliono il duce? Ma per davvero? Il fascismo e il nazismo devono sparire. Il fascismo è un virus che deve essere debellato; ma per farlo bisogna avere i ‘coglioni’. Oggi, molto spesso, i governanti sono esponenti di una “pavidocrazia” che sgomenta: il fascismo è un crimine. La polizia quando vede scritte, striscioni e cartelli inneggianti al fascismo deve intervenire, spiegare che non è questione di essere favorevoli o contrari: semplicemente è fuorilegge. Punto. Ma forse si aprirebbe un altro ragionamento…».

Cioè? «Si deve avere la forza di dire: fuori il fascismo dalle forze di polizia. Bisogna bonificarle. Troppo spesso si tollera. Il fascismo inquina l’Italia, l’Europa. Non possiamo permetterlo. Chi giura sulla Costituzione, si impegna a far rispettare le leggi: bene, il fascismo è fuori legge».


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