Seppur ambientato in Italia, in Due volte stranieri l’Albania – quella degli anni ‘90 – è sempre ben presente nelle parole e nei pensieri dei protagonisti del romanzo. Il paragone fra il contesto di arrivo e di origine genera a volte confilitti ma è anche occasione d’incontro.
Il romanzo Due volte stranieri della scrittrice albanese Ismete Selmanaj Leba è dedicato a tutti gli emigranti che hanno dovuto lasciare il proprio Paese. Infatti, molti di loro vi si potrebbero rispecchiare in un modo o nell’altro. Si tratta di una storia di emigranti, o meglio dire di tante storie di emigranti, che ruotano intorno alle vicissitudini di due donne amiche, che per vari motivi hanno dovuto lasciare la propria terra e venire in Italia.
Mirela scappa insieme al marito dopo un evento drammatico nella scuola dove insegna. Una sua studentessa nell’Albania caotica di quel periodo viene rapita da una banda armata di malviventi. Malgrado la sua resistenza, Mirela rimane profondamente scioccata e addolorata, sentendosi colpevole per non aver salvato la giovane ragazza.
In Italia cerca la sua amica Dorina, scappata dall’Albania con la nave Vlora durante l’esodo verso le coste pugliesi. Una ragazza cresciuta tra tante difficoltà, perché proveniente da una famiglia di perseguitati politici dal totalitarismo comunista. Ma le difficoltà di Dorina non sono alle spalle, altri problemi l’aspettano in Italia.
La trama si svolge in Italia, ma il paese di partenza è molto presente nelle pagine del libro, e non solo in forma di digressioni e ricordi. L’Albania da cui sono partite le protagoniste è quella degli anni Novanta. Gli emigranti fuggono dalle sofferenze che ha causato il regime più spietato dell’Est Europa, così come dalle vicende tumultuose che hanno caratterizzato quel decennio.
I personaggi del romanzo hanno tanta voglia di raccontare la propria storia e lo fanno con un linguaggio asciutto e crudo. Anche i paragoni che fanno con la vita nel paese di origine è umanamente comprensibile. Spesso le usanze e le tradizioni vengono messe a confronto con la nuova realtà, non senza stupore, incomprensioni e contraddizioni.
Ma la vita da emigrante non è per nulla semplice. Lo dimostrano alcuni personaggi nel romanzo che si imbattono in infinite difficoltà: discriminazione, indifferenza, razzismo, umiliazioni, ipocrisia, cinismo, ignoranza, pregiudizi… C’è persino la burocrazia che vede negli immigrati cittadini di serie B. Poi ci sono storie dolorose di donne maltrattate e violentate che devono combattere anche contro una certa mentalità maschilista e patriarcale.
La vita degli emigranti sarebbe infernale, come la realtà del paese di partenza, se non ci fossero delle persone per bene, “angeli” – come li chiama la protagonista – che li accolgono e li aiutano con enorme generosità e combattono per i loro diritti.
Mirela riesce a trovare non solo la sua amica Dorina, ma anche la sua
studentessa Ana, rapita dai banchi della scuola in Albania. Storie da leggere, storie su cui riflettere. Sicuramente è un romanzo “al femminile”, non tanto per l’autrice quanto per i personaggi e le storie di donne e ragazze che descrive, dove non mancano le seconde generazioni.
I personaggi del libro non sono solo albanesi e italiani, ce ne sono di altre nazionalità, ma sembrano tutti uniti dalle sofferenze, dal sentirsi stranieri e dalla diversità, che spesso viene percepita come un problema e non come una risorsa. Ma il romanzo non è pessimista e non potrebbe esserlo in un mondo dove esiste anche la bontà e l’amore.
Il romanzo è costellato di proverbi albanesi e “detti della nonna”, che vengono frequentemente e puntualmente riportati dalla narratrice, come una specie di guida spirituale, di bussola nel mare aperto della vita, oppure una specie di mappa valoriale che l’aiuta nel suo percorso migratorio.
«Quando trovi insegnamenti di saggezza, falli tuoi, farfalla di nonna», ricorda la protagonista del romanzo e confessa che da bambina non capiva fino in fondo che le parole della “dolce nonnina” erano dei tesori rari, una filosofia intera sintetizzata in poche righe d’oro. Parafrasando l’ultima frase del romanzo, si potrebbe dire che tutte le nonne del mondo sono uguali.