A Trento il 13 e 14 febbraio è stato dato avvio alle attività della Fondazione Antonio Megalizzi. Ospite anche il Presidente del Parlamento europeo David Sassoli che ha delineato le sfide che l’Unione, alla quale ha fortemente creduto Antonio, ha di fronte
L’Inno alla gioia, tratto dalla Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven e diventato inno ufficiale dell’Unione europea nel 1985, è risuonato venerdì 14 febbraio a Trento per Antonio Megalizzi, giovane europeo ucciso nell’attentato terroristico del dicembre 2018 a Strasburgo. L’emozione in sala è salita ulteriormente quando il pubblico, in piedi e ad occhi chiusi, ha ascoltato la registrazione di un brano tratto dal racconto di Antonio “Il cielo d’acciaio ” letto da colleghe e colleghi che per anni assieme a lui hanno parlato di Europa attraverso la rete radiofonica Europhonica.
Nella sala Depero del palazzo provinciale di Trento, gremita di cittadini e cittadine e di massime autorità, tra le quali il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, si è così aperta la cerimonia inaugurale della Fondazione dedicata ad Antonio Megalizzi , trasmessa anche in diretta streaming su Rainews.it e sul sito del TGR Rai di Trento. Grande emozione e profonda partecipazione si sono intrecciate lungo tutta la mattina, che ha visto diversi relatori intervenire coordinati dal responsabile dell’ufficio stampa della Provincia autonoma di Trento, Gianpaolo Pedrotti.
Il primo è stato il sindaco di Trento, Alessandro Andreatta. Ha portato i saluti delle comunità di valle e dei comuni della Provincia e ha ringraziato la famiglia di Megalizzi per aver deciso di trasformare questa memoria dolorosa in motore di progetti concreti secondo la figura e i sogni di Antonio: “Un giovane europeo che credeva nell’importanza della comunicazione, che nelle sue varie forme può abbattere barriere, nello spazio e nel tempo. La Fondazione potrà proseguire ad abbatterle e trasformarle in ponti”. Un’iniziativa, ha ricordato Andreatta, resa possibile anche grazie al sostegno del Sindacato dei giornalisti del Trentino Alto Adige, della Federazione Nazionale Stampa Italiana, dell’Università di Trento, l’Usigrai, la Rai, la Provincia di Trento, “decisi a raccogliere l’eredità di Antonio per investire nel futuro, come lui avrebbe sicuramente continuato a fare”.
“Dopo il funerale di Antonio, ci siamo interrogati su come portare avanti il suo ricordo, lasciando ovviamente alla famiglia il compito di decidere forme e modi”, ha ricordato il presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti. “Da questo impeto civile, del tutto spontaneo, è nata l’idea della Fondazione. Innanzitutto con progetti rivolti ai giovani, nelle scuole e nelle università, per confrontarsi e discutere, nel rispetto del pluralismo, e fornire loro strumenti per sviluppare spirito critico e comprensione dei profondi mutamenti in atto nella società”. Ha poi concluso: “Il Trentino ha sempre creduto nelle ragioni che hanno portato alla nascita dell’Unione europea, una nuova comunità di popoli in cui le differenze possano convivere nell’unità. Crediamo ancora in questa intuizione e, come pensava lo stesso Antonio, scegliamo di impegnarci per un’Europa più unita, più solidale, più giusta, più forte, capace di affrontare le tante sfide sociali, che non arretra di fronte alle sue responsabilità e non soccombe davanti all’odio e alla paura”.
Antonio Tajani, in carica alla presidenza del Parlamento europeo nel giorno dell’attentato, ha condiviso poi il suo personale ricordo: “Quella sera, quando ci è arrivata la notizia della sparatoria nelle vie di Strasburgo, non sapevamo se vi erano stati feriti o morti… ma decisi di far continuare i lavori del PE, perché di fronte alla violenza bisogna reagire con la forza. Ad un anno e qualche mese da quel fatto dobbiamo domandarci: Chi ha vinto? Il carnefice o la vittima? Il terrorista o il giornalista? Guardando a ciò che è nato qui, a Trento, dobbiamo dire che ha vinto la vittima perché le sue idee e il suo sogno non sono stati cancellati.”
Un desiderio di conoscenza che secondo il rettore dell’Università di Trento, Paolo Collini, era insito in Antonio che era iscritto al corso di laurea magistrale in Studi europei: “Voleva studiare perché voleva imparare, diventare profondo conoscitore dell’Europa – delle sue istituzioni, delle regole e della storia”. Ha ricordato il suo modo di essere giornalista, che si basava sulle parole ‘essere informati e informare’, oltre alla sua battaglia contro le notizie imprecise, non fondate sui fatti, non radicate nell’analisi seria. Un europeo, ancora prima che europeista, ha concluso Collini: “Antonio era ed è il rappresentante di una generazione di giovani che sono profondamente europei anzi, ‘nativi europei’. Che considerano naturale muoversi liberamente in un altro paese dell’Unione, dove poter costruire la propria vita e trovare soddisfazione nel proprio percorso professionale, come personale, senza limite alcuno”.
Ed è attraverso la radio, come ha raccontato in seguito Amanda Luisa Guida, responsabile editoriale di Europhonica – RadUni , che si proseguirà in questa direzione: “Siamo un’associazione di studenti di 30 università europee, volontari che si sono posti l’obiettivo di formare e informare su questioni europee. Ne facevano parte anche Antonio e il nostro collega francese ucciso quel giorno, Bartosz Orent-Niedzielski detto Bartek. Antonio amava la radio, era la sua seconda casa. Era un amico, ancora prima che un collega e per questo all’indomani di quell’attentato ci siamo chiesti come onorare il suo ricordo”. Hanno capito, prosegue Guida, che l’unico modo per dar loro voce era tornare al microfono: “Per rendere ancora più concreti i nostri progetti, mantenere vivo quel senso di famiglia che ci unisce da nord a sud e raccontare l’Europa in maniera semplice ma mai banale, proprio come faceva Antonio.”
Formazione e informazione sono i pilastri di RadUni, gli stessi della Fondazione Megalizzi, presieduta dalla compagna di Antonio, Luana Moresco, alla quale hanno offerto piena collaborazione futura. Una disponibilità offerta anche da Alberto Matassino, direttore generale Rai, il quale ha ricordato al pubblico la partecipazione di Rai all’iniziativa “Non fermiamo questa voce ” nel primo anniversario della morte di Antonio, che ha visto l’andata in onda su Radio Rai3 e sulle emittenti di RadUni la registrazione di sue interviste e scritti.
“Tutte attività e progetti”, ha sottolineato con forza il presidente della FNSI Giuseppe Giulietti, “che devono essere decise dalla famiglia Megalizzi. Il nostro compito sarà stare un passo indietro, sostenere con garbo e rispetto le loro proposte e far avanzare non noi, ma i sogni di Antonio”. Una giornata questa, ha aggiunto Giulietti, che va considerata non di commemorazione ma di azione: “Per interpretare la voglia di conoscenza e di curiosità, che purtroppo ha segnato la vita anche di altri ragazzi italiani come Giulio Regeni, Ilaria alpi, Valeria Solesin, assieme a persone che mancano da troppo tempo e vogliamo veder tornare: Silvia Romano e padre Paolo Dall’Olio. Ma anche a chi, come lo studente di Bologna Patrick George Zaky, di recente è stato arrestato in Egitto per aver criticato il suo paese.” Perché essere cittadini ed essere giornalisti, vuol dire provare empatia e sostenere chi non si conosce e al quale è stata privata la libertà di opinione.
Antonio Megalizzi, ha proseguito il presidente FNSI, provava anche un profondo fastidio per le fake news, dimostrato dalla cura con cui usava le parole nell’informazione, comprovate da fatti, diversamente da certi giornalisti che tendono non a descrivere i reali allarmi ma a innescare allarmismi, affermazioni senza numeri o dati. Partendo da questa constatazione, Giulietti ha lanciato la prima proposta alla Fondazione: “Raccogliere gli scritti di Antonio dedicati non solo all’Europa ma ai processi di falsificazione delle notizie. Portarli al Parlamento europeo e chiedere che in quella sede si avvii una riflessione sulla fake news e sul linguaggio d’odio”.
Ed è stato proprio il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, a chiudere la mattinata, partendo dall’Antonio “narratore”: “Cosa sarebbe oggi questo spazio europeo se non ci fosse l’Unione europea? Questa è la domanda che si poneva Antonio e che allo stesso tempo è un messaggio politico di grandissima importanza.” Come potrebbero i singoli paesi – si è chiesto Sassoli – vivere in un mondo globale profondamente cambiato e che fatica a trovare le proprie regole, senza l’Unione?
“Ed è questa la domanda”, ha sottolineato David Sassoli, “che ha fatto nascere la passione di Antonio nel cercare di raccontare l’Europa ai giovani, attraverso un’informazione corretta e dimostrando quanto può essere utile alla vita delle persone.” E Antonio, ribadisce il presidente del PE, avrebbe trovato molto interessante occuparsi della stagione che stiamo vivendo: “Questo è stato il lavoro di Antonio: cercare una narrazione per dare senso a questa vocazione dell’Europa. E penso che oggi si sarebbe divertito molto, perché il dibattito in Europa è molto cresciuto. Ad esempio nelle ultime elezioni più giovani sono andati a votare, mentre si diceva che forse l’Europa si sarebbe divisa ulteriormente o sarebbe arrivata al capolinea: nel 2014 i votanti tra i 16 e i 24 anni erano il 28%, stavolta è stato del 48%. In questi numeri troviamo il lavoro fatto da Antonio: parlare ai giovani, spiegare, incuriosirli, cercare le domande giuste e dare risposte utili.”.
“Abbiamo passato troppo tempo, e questo ad Antonio era molto chiaro, a cercare di provocare il dibattito tra chi la ama e chi non la ama, tra chi la vuole e chi non la vuole. Se guardiamo con pragmatismo, il dibattito vero è quello dell’utilità oggi dell’Unione europea”, ha ribadito con forza Sassoli.
L’accento finale è stato dato da David Sassoli sulle grandi sfide che ci attendono: “Quale Europa vogliamo domani, che ruolo per i nostri paesi, di quali poteri in più abbiamo bisogno per far funzionare meglio l’Unione? Abbiamo di fronte molte sfide e non posso non far riferimento a due importanti iniziative che in questo momento animano il dibattito europeo. Da un lato la la definizione di cosa sarà l’Europa dei prossimi sette anni, cioè la discussione sul bilancio. La seconda – ha proseguito Sassoli – è capire di quali nuovi meccanismi l’Unione ha bisogno per funzionare meglio, partendo dall’idea di creare una conferenza sul suo futuro, coinvolgendo le opinioni pubbliche, le università, le reti di cittadini, le associazioni, il mondo del lavoro, i parlamenti nazionali e fare in modo di organizzare un percorso di un paio di anni”. E in questo percorso, ha sottolineato, la Fondazione nata a Trento può essere un punto di riferimento per la società civile italiana.
“Siamo all’inizio di in una legislatura molto importante e dobbiamo creare molta più possibilità di discussione rispetto al passato. Abbiamo bisogno dei nostri paesi, del loro sguardo, della loro passione, ma dobbiamo fare in modo che ad un sano patriottismo non si sovrapponga un nazionalismo che l’Europa ha già conosciuto. Un sano patriottismo, con una sovranità europea più forte, in un mondo che deve trovare nell’Unione un esempio di valori fondamentali. Antonio ci credeva. E naturalmente Antonio Megalizzi ci manca”, ha chiosato il Presidente del parlamento europeo.