Tre volte zero…

0 0

«Quel giovane che, drogato e ubriaco, ha ucciso due ragazze col Suv, rischia il ritiro della patente a vita. Secondo me, dovrebbe fare anche qualche anno di carcere, per pensare a quanto ha fatto. La fine delle due sedicenni ha commosso il mondo». Questa è la lettera di un lettore pubblicata da il Resto del Carlino lo scorso 29 dicembre. Vorrei provare a fare un esperimento: una sorta di “analisi logica” di quanto ha scritto il signor Rino di Modena.

Com’è chiaro a tutti, si sta parlando dell’incidente avvenuto il 22 dicembre a Roma, in corso Francia, in cui hanno perso la vita Gaya von Freymann e Chiara Romagnoli. Il lettore del Carlino utilizza parole ben precise: Suv, drogato e ubriaco. Partiamo da questi tre “dettagli”, analizzandoli solo dal punto di vista del linguaggio giornalistico.

SUV: Sport Utility Vehicle, dice l’acronimo. Nella categoria – tecnicamente – si possono inserire diversi modelli di automobili; più o meno grandi, più o meno “aggressive”: dal mini-suv all’urban-suv, dal crossover-suv al fullsize-suv. Ma nel parlar comune, Suv sottintende una via di mezzo tra un carrarmato e un veicolo tattico: «Andare a fare la spesa in centro col Suv» oppure «Mamme che accompagnano i figli a scuola con il Suv, parcheggiandolo sul marciapiede». Nei più diffusi stereotipi, il Suv è una categoria di auto ben precisa; possibilmente alta, grande, grossa e di colore nero. E il proprietario, il conducente, è una persona che spesso si pone al di sopra delle regole; il Suv è un veicolo a trazione integrale, che riesce ad andare dove altre auto non vanno. L’arroganza fatta veicolo.

L’incidente in cui sono morte le due sedicenni vede coinvolto Pietro Genovese, mentre era alla guida di un’automobile Renault Koleos; tecnicamente, un SUV, nulla da ridire. Ma può diventare “la” notizia? È come se la gravità di un omicidio sia da mettere in relazione alla nazionalità dell’omicida. Non è una questione di marca dell’auto, del modello; ma il “costrutto” sociale che il termine Suv si porta dietro. Rischia di essere già una condanna: guida un Suv, è un disgraziato. In un contesto in cui il modello dell’auto non conta nulla. Se Genovese fosse stato alla guida di un’auto elettrica, di un’utilitaria? Perché focalizzare nella sigla Suv una serie di sottintesi, che determinano il modo in cui la notizia verrà letta?

Drogato: la sera dell’incidente, il conducente è stato sottoposto in ospedale a esami ematici, per stabilire se avesse assunto droghe e alcolici. Per quanto riguarda le sostanze stupefacenti si è riscontrata la non-negatività. Ma in passato – secondo la ricostruzione giornalistica – gli era stata ritirata la patente per possesso di hashish. Due indizi fanno (farebbero) una prova; ma non è esattamente così. Il possesso di stupefacenti a fini personali non è un reato, ma è ricompreso nei termini di una procedura amministrativa; e per tale motivo il Prefetto sospende patente e porto d’armi al detentore per fini personali della sostanza. Da uno a tre mesi se si tratta di droghe “leggere” (e l’ hashish è considerata droga leggera), da due mesi a un anno se droghe pesanti. Ma non solo. Alcuni medicinali vedono i propri principi attivi classificati come stupefacenti (i cosiddetti oppioidi); e in caso di controllo ematico a seguito di incidente, vengono rilevati. Ma ai fini del Codice della Strada, il risultato è lo stesso. Così come è lo stesso il fumare hashish, oppure farsi una canna di Cannabis light. Quindi per la legge è parimenti drogato chi detiene hashish (sanzione amministrativa), chi assume farmaci oppiodi (a fini terapeutici), chi fuma marijuana legale (a basso contenuto di THC). Ma si può definire drogato chi cura il mal di schiena con un farmaco oppioide? E soprattutto, siamo coscienti che quando si parla di liberalizzazione delle droghe leggere, non è che poi si può guidare la macchina dopo aver fumato?

Ubriaco: e questa è la più facile di tutte. «16enni investite a Roma, tasso alcol Genovese 3 volte oltre il limite». È il titolo di un’agenzia del 23 dicembre 2019: …Aveva un tasso alcolemico di 1,4 g/l (quasi tre volte oltre il limite consentito di 0,5 g/l) Pietro Genovese, il giovane alla guida dell’auto che nella notte tra sabato e domenica ha investito e ucciso due ragazze…, si legge sempre nel corpo del lancio d’agenzia. C’è un però: Pietro Genovese – secondo quanto riportano i giornali – ha vent’anni e il Codice della Strada è chiarissimo in merito: “…È vietato guidare dopo aver assunto sostanze alcoliche o sotto l’influenza di queste per: i conducenti di età inferiore a ventuno anni e i conducenti nei primi tre anni dal conseguimento della patente di guida di categoria B…”. Ora, visto che il tasso consentito per Genovese è pari a zero, come farebbe ad avere un …tasso 3 volte oltre il limite? Qual è il risultato di zero per tre?

Sofismi, mi si può dire; ma non è questa la sede per disquisire delle responsabilità del terribile incidente.

Qui si sta parlando di un altro incidente: quello comunicativo che si è causato nel signor Rino di Modena. Gli organi d’informazione hanno usato determinate parole per descrivere un fatto straordinariamente grave, ma che – proprio per le parole che sono state utilizzate per descrivere il fatto – ha già un finale scritto: Quel giovane che, drogato e ubriaco, ha ucciso due ragazze col Suv. Punto. L’opinione pubblica ha già deciso per la condanna di un colpevole. E se un domani verrà – non dico assolto –, ma in parte rivista la sua posizione, si parlerà di un favore verso il figlio di un personaggio noto; basta fare un giro sui social per farsi un’idea di come il signor Rino di Modena non sia il solo. Anzi; forse è il più moderato.

Le parole sono pietre; e chi le usa per lavoro dovrebbe avere la coscienza che la scelta di un termine piuttosto che un altro è determinante. Perché il suo lavoro, il nostro lavoro, concorre alla formazione dell’opinione pubblica.

Il linguaggio dell’odio spesso si nasconde dietro parole e comportamenti fintamente innocenti; ne parleremo dal 24 al 26 gennaio, ad Assisi, al Sinodo dell’Informazione. Cercherò, anch’io nel mio piccolo, di esporre il pericolo della sottovalutazione degli stereotipi; perché saranno anche delle scorciatoie che usiamo tutti i giorni, ma servirebbe una patente anche per questo straordinario mezzo comunicativo, teorizzato da Walter Lippmann nel 1921.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21