Il villaggio di Ganvié, in Benin, è una gradevole destinazione turistica: costruito interamente su palafitte erette nel centro del lago Nokoué, affascina e attrae i visitatori; i suoi abitanti vivono soprattutto di pesca e dei proventi del turismo.
Tuttavia, saltano presto all’occhio i barconi utilizzati per un’altra attività assai redditizia e diffusa: il contrabbando. Molto più grandi e capienti delle piccole piroghe utilizzate per la pesca o gli spostamenti. Mi viene subito spiegato che viaggiano fino al confine con la vicina Nigeria per essere riempiti di merci di ogni tipo: dalle casse di bevande ai vestiti, dai cellulari ai pezzi di ricambio per auto e motociclette.
Tuttavia, il bene principale che viene importato illegalmente è un altro: la benzina. Per le strade del Benin si possono notare banchetti che vendono carburante in damigiane di vetro o bottiglie di Pastis insieme ad altre bibite: si tratta, appunto, della benzina di contrabbando proveniente dalla Nigeria, dove viene raffinata in modo clandestino nelle cosiddette “firewood distilleries“, nascoste tra le mangrovie nelle aree paludose (e la cui pericolosità sia per l’ambiente sia per chi ci lavora è evidente)… Continua su vociglobali