Caro Andrea,
mi sono precipitato a ordinarlo, il tuo “Ogni parola che sapevo”, il libro che hai scritto, frutto di una “esperienza” che capisco, e conosco bene: l’ho vissuta io pure, anni fa.
Anch’io ho provato e “so” che cosa significa “svegliarsi” dopo un lungo sonno: essere ben cosciente di quanto ti accade intorno, ri/conoscere volti e suoni, e non saper (non poter) comunicare; le parole, le sillabe, le ricordi bene, e sei perfettamente consapevole del loro significato; ma non si traducono in qualcosa di comprensibile per il prossimo: dalla gola escono solo rantoli, borbottii. Neppure serve la rudimentale lavagnetta per indicare le sillabe: il dito va in una direzione opposta, seguendo impulsi tutti suoi, rispetto a quelli che vorresti; la matita scivola dalle dita; chi ti è vicino scambia il moto di irritazione per l’incapacità di controllo in un tuo essere stanco: “Lasciamolo riposare”, e invece vorresti che restassero ancora, anche solo sentir le loro voci ti dà ristoro… E poi, il senso di conquista, di “liberazione”, quando finalmente un infermiere, benedetto sia, e non so neppure il suo nome, “traduce” quel mugolio sommesso: “Lavatemi”, che mi sentivo più sozzo che mai. Ancora: la conquista di poter fare, dopo settimane, una doccia e l’acqua che ti scorre sul corpo e la lasci andare; il poter “evacuare” su un water; il potersi radere… Una conquista perfino il dolore tremendo, dopo settimane di immobilità, che ti procura il “semplice” poggiare la gamba sul pavimento; il riuscire ad aprire la busta di plastica con le fette biscottate con le tue mani… finalmente, dopo mille tentativi, ce la fai!
Li capisco bene, caro Andrea, tutti coloro che sono passati in calvari come il nostro, lo scoprire improvvisamente, rudemente, che siamo più che vulnerabili; ci si crede invincibili, e invece per piegarci e stroncarci basta un niente; e per fortuna i soccorsi sono arrivati in tempo; per fortuna (e per scienza) chi deve curarti capisce come, e lo fa; e attorno hai persone che si prendono cura di te: anche quando ti danno per spacciato, comunque ci provano, e alla fine viene fuori che spacciato saresti stato se non ci avessero provato.
Non so, caro Andrea, quale sia stata la tua esperienza ospedaliera. Devo dire, per quel che mi riguarda, che al Sant’Andrea, e poi al Santa Lucia di Roma, ho trovato persone pazienti e comprensive; non ho patito nulla del disastro della sanità italiana che spesso leggiamo nelle cronache giornalistiche. Sarà stato fortunato, quel che si vuole, ma dai medici, dalle infermiere, da tutti gli operatori, sono stato trattato con cura, competenza, efficienza; e mi hanno dato, tutte e tutti, una grande lezione di vita. Di questo non finirò mai di ringraziarli; e mi sono reso conto di quanto sia – nei fatti – impegnativo, faticoso, il loro prezioso lavoro, e spesso molto poco riconosciuto.
Per tornare al tuo libro, penso che vi troverò la conferma di quanto sia importante, una volta che capitano gli accidenti che ci sono capitati, ostinati non darsi per vinti, mantenere ottimismo, tener duro, insistere, e resistere; dirci che ce la si può fare, e che se si può si deve. Nelle lunghe ore di insonnia e di paralisi, impossibilitato a far qualunque cosa, tenevo la mente impegnata in assurdi progetti di risistemazioni delle stanze di casa, di mobili da acquistare e disfare; libri da disporre in fantasiose collocazioni, i film da vedere, i romanzi da leggere, i viaggi da fare… Naturalmente ho fatto pochissimo di quanto fantasticato, ma almeno il tempo passava; e la “nebbia” lentamente si diradava, riacquistavo la possibilità di muovere un dito, di articolare un suono comprensibile. Quanto ai “danni” possibili, mi sono scoperto più o meno cretino come ero entrato, quindi è andata bene. Dicono tutti che si è trattato di un miracolo, e comunque che ho avuto un gran c….
Sono contento che anche tu, caro Andrea, l’abbia avuto; ti abbraccio; e spero di vederti presto restituito al suo lavoro in televisione.