Può uno stato sovrano occidentale, democratico, con radicati valori laici e liberali decidere di uccidere uno dei 3 esponenti governativi più in vista e massimo vertice militare di un altro stato sovrano mediorientale, teocratico, con forme di democrazia flebili e contestate?
L’omicidio del generale iraniano Suleimani in Iraq (altra nazione indipendente, anche se “a libertà limitata” da USA, NATO e iraniani), è un atto di Terrorismo di stato, non un’azione di guerra formale né un’operazione di polizia internazionale decisa tra nazioni alleate.
Il Diritto internazionale è stato stracciato con un semplice click remoto via Web.
Le istituzioni internazionali, a salvaguardia della pace, della cooperazione mondiale e del rispetto delle Carte universali sono state svillaneggiate. Anche la parola data, le rassicurazioni, comunicate pubblicamente da Trump appena ad inizio anno, sono state cancellate. Le isolate ed autorevoli voci di pace e dialogo sono state oltraggiate.
Nessuno potrà più fidarsi delle promesse e degli accordi non solo di Trump, ma anche degli altri leader occidentali, specie in tema di conflitti e di situazioni di criticità. Sembra essere ritornati al settembre del 1938, quando Hitler truffava i leader democratici, l’inglese Chamberlain e il francese Daladier, con il “farlocco accordo” di coesistenza pacifica di Monaco. Solo Churchill capì come si sarebbe evoluto lo scenario internazionale. E rimase famosa la sua invettiva lanciata in una drammatica seduta della Camera dei Comuni, nella quale profetizzò: “Dovevate scegliere tra la guerra ed il disonore. Avete scelto il disonore e avrete la guerra”.
In un sol boccone e con la rapidità della tempesta Hitler, dopo essersi già annesso l’Austria, si impadronì della Cecoslovacchia, mise governi fantocci nei paesi vicini e invase la Polonia. Scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, purtroppo grazie anche all’ignavia e alle sottovalutazioni politiche, militari e diplomatiche dei paesi europei democratici. Oltre 71 milioni di morti, cui vanno aggiunti 6 milioni di ebrei sterminati nei lager nazisti.
In questo caso, non si è trattato di una operazione “chirurgica” per eliminare un capo integralista islamico, un terrorista e i suoi complici ricercati anche dalle istituzioni internazionali. Suleimani era un duro oppositore degli USA e dei paesi occidentali, ma ricopriva un ruolo istituzionale in uno Stato che non ha dichiarato formalmente guerra contro l’America di Trump. Quell’Iran che, con tutte le contraddizioni del caso, ha comunque contribuito a sradicare il terrorismo espansivo dell’ISIS in quelle terre martoriate.
Da 40 anni certo non corre buon sangue tra Teheran e Washington. Anzi, scorre sangue vero, spesso “per procura”, coinvolgendo paesi arabi limitrofi e accrescendo insicurezza e criticità economica nei paesi occidentali alleati degli Stati Uniti. E’ forse questa la nuova frontiera delle cosiddette “guerre atipiche per procura”?
Per tutti gli Stati democratici sarebbe la fine del Diritto internazionale schierarsi dalla parte di Trump. E per l’Unione Europea significherebbe abbandonare secoli di valori liberali e civili. Significherebbe farsi complici di un disastro mondiale prossimo venturo. Bene ha fatto, intanto, ad uscire dal torpore diplomatico l’Unione, attraverso l’Alto Rappresentante per gli Affari esteri e la Sicurezza, lo spagnolo Josep Borrell, che ha invitato il ministro degli esteri iraniano Zarif a Bruxelles, per tentare una mediazione diplomatica.
Qui non si tratta di uno scontro di civiltà o di religioni, anche se questi due fattori hanno una loro rilevanza specie a livello demagogico e di condizionamento psicologico delle masse popolari: nell’eventualità di un’escalation bellica potrebbe far comodo appellarsi proprio allo scontro di religione e di civiltà, vista l’intransigenza degli sciiti iraniani e dei cristiani evangelici americani, oggi al potere. In realtà, è in ballo la nuova frontiera delle risorse economico-industriali e del dominio finanziario mondiale.
Cosa ha spinto Trump a questo gesto estremo e violento contro l’Iran? Oltre alle dispute diplomatiche, all’abolizione dell’accordo sul nucleare (firmato dal predecessore Obama) e al ricorso massiccio a sanzioni e dazi, che stanno strozzando l’economia e la vita del popolo iraniano, Washington deve far fronte alla perdita di egemonia nella zona “più calda del mondo”; ma soprattutto preoccupa lo scarso controllo del mercato mondiale energetico (gas, petrolio e minerali rari), ormai egemonizzato dai cinesi, i russi e gli arabi del Golfo.
“Seguire l’odore dei soldi!”, sostenevano nelle loro indagini sull’intreccio tra mafia e potere politico ed economico Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Raccomandazione sempre valida, anche in questo caso. In ballo, in effetti, ci sono le fonti energetiche e una destabilizzazione dei paesi islamici, oggi padroni di petrolio e gas, maggiori investitori finanziari in settori economici trainanti occidentali, oltre che detentori di debiti sovrani.
A nulla sono servite le sanzioni, gli embarghi commerciali, le dispute sull’eventuale e intrusivo uso delle nuove tecnologie Hi/Tech tra USA e Cina, ma anche con i paesi storicamente alleati, come quelli europei. Su questi fronti Trump oggi è costretto a fare passi indietro e a trattare con la Cina e con l’Europa.
Certo, in pieno parossismo propagandistico per le prossime elezioni presidenziali di Novembre, Trump ha bisogno di oscurare le disavventure legali come l’impeachment, lo scandalo Ucrainagate, le tasse non pagate per un decennio. Certo, l’economia tira e la Borsa di Wall Street supera i record, ma le spese militari hanno fatto il botto e l’indebitamento statale è tra i più alti al mondo: mille miliardi l’anno per l’egemonia militare mondiale, ovvero il 25% del budget federale, la metà circa delle spese per la Difesa di tutti gli altri Stati, secondo l’autorevole SIPRI di Stoccolma.
Il Debito pubblico statunitense è uno dei primi nella classifica dei peggiori: si aggirava a fine 2019 sui 23 mila miliardi di dollari, un terzo del Debito mondiale, pari a 66 mila miliardi, e si avvia a superare il livello del rapporto del 111% sul PIL. Quasi il 30% dei T-Bond americani sono in mano straniere, all’incirca 7 mila miliardi, e di questi la parte del leone la fanno il Giappone e la Cina con oltre 1.100 miliardi ciascuno. Ma anche i paesi arabi del Golfo fanno la loro parte, seppure da tempo stanno trasformandosi da paesi creditori in investitori industriali e finanziari.
Il debito americano è sempre aumentato in concomitanza con gli impegni bellici, già a partire dalla Seconda guerra mondiale in poi. Durante l’epoca di Bush junior con la guerra all’Iraq e la caccia ad Osama Bin Laden aveva fatto un salto dell’85% rispetto alla passata presidenza. Con Barack Obama, impegnato sia a fronteggiare la lotta al terrorismo islamico, sia dl 2008 la crisi economica e finanziaria, il Debito è salito di un altro 88% rispetto a Bush. Nei primi due anni di presidenza Trump il debito è incrementato di un ulteriore 15%, fino agli attuali 23 mila miliardi.
Per alcuni analisti e centri di ricerca americani, il 2020 potrebbe nascondere l’insidia dello sgonfiamento della “bolla speculativa” sia della Borsa sia dell’economia reale. Anche il PIL mondiale si prevede in calo dello 0,5% secondo il FMI, a causa delle tensioni sui dazi doganali imposti dagli USA. L’instabilità geopolitica potrebbe solo accelerare questo stato di fibrillazione, dagli esiti catastrofici.
Per l’Unione Europea è quindi giunto il momento di farsi portavoce di una politica di neutralità, di ricerca di nuove strade per la cooperazione economica e commerciale mondiale, ma soprattutto di rivendicare una propria autonomia militare, lasciando al suo destino ormai superato, la NATO (come sentenziò mesi fa anche il presidente francese Macron). Già esiste una Forza di Intervento Rapido a livello comunitario, a suo tempo però contrastata dalla Gran Bretagna. Ora con la Brexit, questo impedimento è superato dai fatti e anche dalla richiesta di maggiore sicurezza da parte dei paesi dell’Est Europa, ancora preoccupati per l’aggressività russa verso l’Ucraina e il suo nuovo ruolo egemonico in Medioriente e nel Mediterraneo.
L’Unione dovrebbe farsi da subito arbitro nel contenzioso tra i duellanti fondamentalisti e guerrafondai, Trump e Khamenei, proprio per scongiurare le nuove emergenze ai nostri confini: incremento esponenziale della migrazione; riduzione degli approvvigionamenti energetici e conseguente rialzo dei prezzi; coinvolgimento in guerre locali (Libia, Siria e Iraq) senza alcuna via d’uscita. Con l’eventualità di ulteriori attacchi terroristici islamisti sul Vecchio Continente (oltre 500 morti dal 2004 ad oggi), una recrudescenza dell’antisemitismo e la crescita di consenso nell’opinione pubblica impaurita e impoverita verso movimenti e forze politiche di ultradestra, reazionaria ed euroscettica.