Alle volte un libro è come uno specchio magico: basta guardarlo e si scopre di tutto. “Leonardo Sciascia. La politica, il coraggio della solitudine” di Valter Vecellio, giornalista e scrittore. è un po’ uno specchio magico: si vedono turpitudini e virtù, brutture e bellezze dell’Italia. “Leonardo Sciascia”, Edizioni Ponte Sisto, in 144 pagine raccoglie i passi noti e inediti del geniale romanziere siciliano a trent’anni dalla morte. Vecellio, acuta e puntigliosa penna di giornalista di lungo corso, ha raccolto con precisione brani di libri, di saggi, di articoli, d’interviste, di relazioni a conferenze e d’interventi a convegni dello scrittore cultore del dubbio, della ragione e delle regole come strumenti del vivere civile.
Da “Leonardo Sciascia” emerge una Sicilia e un’Italia nell’affannosa e perenne ricerca del riscatto dai suoi mali: la mafia, la corruzione, l’ignoranza, la sudditanza al potere e ai potenti. Vecellio ha conosciuto Sciascia quando aveva poco più di vent’anni, abbagliato ha imparato molto dallo scrittore tanto profondo quanto coraggioso nell’andare controcorrente: «Per me è stata una frequentazione fantastica».
Letteratura, politica, giustizia, cinema e cultura s’intrecciano e si rincorrono nel libro in una gara nobile e meno nobile, ad uscire dal mortale labirinto della sopraffazione. La lotta di Sciascia era coraggiosa e composta, mai sguaiata. L’autore scrive: «Con una punta di compiacimento si paragonava al pesce volante: che quando è sott’acqua viene divorato dai voraci pescicani, quando è in aria è azzannato dai famelici gabbiani. Posizione scomodissima».
Sciascia legò politica e morale, senza mai cadere nella trappola dello Stato etico, fonte delle più feroci dittature. Il Pci lo lodò e lo attaccò. Lo lodò quando accettò la candidatura nelle liste comuniste per il comune di Palermo, lo denigrò quando si dimise perché deluso. Così da “grande scrittore” divenne “codardo”. Lo stesso accadde quando Sciascia accettò la proposta di Marco Pannella e fu eletto deputato nelle liste del Partito Radicale.
Leonardo Sciascia era attaccato dalla mafia e dai “professionisti dell’antimafia” come li chiamava lui. Ed era ossessionato dagli errori giudiziari come quello della condanna in primo grado di Enzo Tortora portato via in manette e poi, dopo una lunghissima e dolorosa procedura giudiziaria, riconosciuto innocente.
Leonardo Sciascia ne “Il giorno della civetta” diede la dritta per combattere la mafia: seguire la pista dei “soldi”. Vecellio scrive: «Aveva capito tutto; aveva compreso che i mafiosi sono corazzati a sopportare tutto, detenzione e morte compresa, a quella loro, dei congiunti e degli affiliati alla cosca, ma su una cosa non transigono: il sequestro e la confisca dei beni che illecitamente sono entrati nella loro disponibilità. Guai a toccar loro la roba».
Era il punto debole sul quale aveva puntato Giovanni Falcone, il magistrato che utilizzò proprio la pista dei “soldi”, in Italia e negli Stati Uniti, per ottenere brillanti risultati nella lotta per debellare Cosa Nostra. Giovanni Falcone, però, fu osteggiato da molti “professionisti dell’antimafia”. Leoluca Orlando Cascio, allora e ancora oggi sindaco di Palermo, denunciò Falcone al Consiglio superiore della magistratura «perché -scrive l’autore- secondo lui teneva chiuse nel cassetto le verità sui delitti eccellenti che avevano insanguinato la città». Fu anche attaccato perché andò a lavorare al ministero della Giustizia con il ministro socialista Claudio Martelli. Poi si sa come finì nel 1992: Cosa Nostra massacrò col tritolo a Capaci Falcone, la moglie e i poliziotti della scorta per le sue efficaci inchieste. Poco dopo fu ucciso anche Paolo Borsellino, un altro pubblico ministero collega e amico di Falcone. Quelle morti, accompagnate dalle bombe mafiose a Roma e Milano, e seguite dall’inchiesta di Mani Pulite su Tangentopoli, segnarono la fine della prima Repubblica e l’avvento della Seconda.
L’Italia ha conosciuto tante stragi, da quella di piazza Fontana a Milano nel 1969 a quella di Bologna e del treno Italicus, ma poco o nulla si sa sui colpevoli. In circostanze misteriose nel 1994 furono assassinati a Mogadiscio la giornalista Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin. Vecellio poco tempo fa, presentando un libro sulla tragica vicenda di Mogadiscio, ha definito il volume «non comodo». L’Italia è la nazione dei misteri. Anzi, come scrive Vecellio in “Leonardo Sciascia” «siamo nel bel paese dei mille misteri e nessun segreto».