Anniversari e commemorazioni hanno il pregio di costringerci a fare i conti: con la nostra memoria, con le informazioni acquisite nei decenni trascorsi, con i dubbi risolti e quelli invece che persistono e si consolidano nel tempo.
Penso, tanto per capirci, ai recenti appuntamenti con la strage di Piazza Fontana. Oppure a quelli ancora più attuali con l’uccisione di Piersanti Mattarella. Due tragedie italiane che a tutt’oggi possiamo inserire tra le pagine di una storia ancora da scrivere: succede anche in altri paesi che restino misteriosi singoli fatti di cronaca. Ma quello che a me pare ci caratterizzi e renda diversa la nostra situazione dalle altre è molto semplice: in Italia c’è una storia segreta che ci accompagna da sempre, dal dopoguerra a oggi. E anche chi non crede ai cosiddetti poteri occulti non può non convenire sulla mia domanda di fondo: perché tutti quelli che avevano informazioni o comunque certezze solide sulle responsabilità di singoli personaggi, perché hanno taciuto?
Perché mezzo secolo di silenzio?
Dicembre 1969: Piazza Fontana. Quanti sapevano del coinvolgimento attivo degli Affari Riservati e del ministero degli Interni nella fase di progettazione della strage e nei depistaggi successivi eppure hanno taciuto rendendosi in questo modo complici dell’avvio della strategia della tensione?
6 gennaio 1980: uccisione di Piersanti Mattarella: oggi giustamente si ricorda il sacrificio di quel politico onesto e coraggioso. Lui credeva in una Italia fedele alla Costituzione, in una politica alla luce del sole che desse uguali opportunità a tutti: lavoro, correttezza, istruzione. Ma lui sapeva di essere solo. Quasi solo, soprattutto dopo l’uccisione di Moro. Tutti, nella DC, sapevano chi erano i suoi nemici, e quanto fossero legati alla mafia.
Alcune settimane prima di essere ucciso Mattarella va a Roma a parlare con Virginio Rognoni, ministro dell’Interno. Al ritorno, parla di quell’incontro con Maria Trizzino, sua assistente. E le spiega l’importanza del colloquio. Rognoni sembra non aver colto la gravità della situazione, il dramma di chi si sentiva già condannato. Altrimenti forse gli avrebbe imposto una scorta…salvandogli la vita.
Il Paese è andato avanti con questo patrimonio di conoscenze riposte in archivi della vergogna. Ha pensato che fosse giusto fare come se non si sapesse. Come se invece di informazioni, si avessero solo ipotesi. Sospetti, invece di notizie. Non una denuncia, non un solo atto di accusa. E tutta la vicenda politica ne ha risentito insieme alle vittime di decine di attentati. Senza quell’ atto di verità e di coraggio tante altre sono state le stragi e gli assassinii: sia quelli di tipo eversivo piduista, sia quelle di stampo mafioso ma che solo mafia non erano.
Non abbiamo avuto quello che i magistrati hanno sempre invocato: un “pentito istituzionale”.
La democrazia italiana ha superato molte prove e decenni di storia. Ma il male è rimasto nel profondo e il prezzo del silenzio e delle vicende irrisolte è ancora oggi molto alto.
Certamente Andreotti e i suoi luogotenenti siciliani (ma anche autorevoli esponenti di altri partiti) erano nemici ed avversari dichiarati della Dc di Piersanti Mattarella. Certamente i capi dei servizi segreti e i ministri dell’Interno democristiani che diffidavano di Giovanni Falcone sapevano, ad esempio, chi, nel giugno del 1989, aveva preparato l’attentato all’Addaura. Sapevano in quali mani era finita l’agenda rossa di Borsellino. Insomma, i silenzi di questi anni chiedono il conto e noi cittadini dovremmo pretendere un poco di verità.
L’alternativa è di proseguire con l’opacità e con i poteri occulti che a parole tutti condannano ma che nessuno vuole realmente portare alla luce del sole.