“La prima donna” è un romanzo insolito e potente. Strutturato in 20 capitoli, inizia con un conto alla rovescia, quello in cui la protagonista, Gabry – durante l’operazione che la consacra finalmente come la donna che ha sempre sentito di essere – mescola ricordi, aspettative e allucinazioni della sua vita precedente, quella vissuta nei panni di Gabriele.
E’ così che Gabriella ci riporta indietro nel tempo, in un viaggio nel Sud Italia che va dagli anni ’80 al 2010, in un racconto che vuol sembrare leggero ma che è in verità una narrazione feroce, tra i timori, le discriminazioni, le sofferenze e le tante avversità che si trova di fronte chi è nato in un corpo che non riconosce come il proprio.
La storia di Gabriele è indissolubilmente legata a quella di Enrico, il suo migliore amico sin dalla prima infanzia, con cui condivide segretamente il sogno di diventare donna. Sin da bambini, i due, al sicuro da sguardi indiscreti, si vestono e si imbellettano, per poi nascondersi al primo rumore inatteso, timorosi d’esser scoperti. Quando Gabriele ha 6 anni tuttavia, i genitori decidono di trasferirsi in un’altra cittadina, interrompendo, improvvisamente, quell’amicizia così intima e profonda. I due si rincontreranno solo molti anni dopo: Gabriele non è più il bambino spaventato dalla propria diversità che invocava l’aiuto di Wonder Woman, mentre Enrico, spirito libero e anticonformista è diventato Erika, proprio come suo fratello Luigi, ormai Luisa. Un percorso lungo e doloroso, per Erika non sufficiente, tuttavia, ad accettarsi, a non sentirsi ‘sbagliata’, a salvarsi. Prima di suicidarsi aveva scritto una lettera a Luisa in cui le chiedeva di non riportarla a casa. Non voleva essere sepolta nel paese che aveva costretto entrambe alla fuga. Voleva riposare in pace, senza ulteriori patteggiamenti.
Erika aveva accettato di essere evirata, ma “la gente ha continuato a guardarla con la stessa morbosità, chiedendosi cosa fosse… le osservava la faccia, le braccia e il collo in cerca di tracce di mascolinità, domandosi se fosse donna… fra le gambe, non nel cuore! Come se la verità fosse solo carne”.
Tra le pieghe del dolore c’è tuttavia il perdono – quello di Gabry verso se stessa e verso gli altri – c’è il suo trionfo. E c’è una madre, la sua, che comprende di aver sbagliato, di non aver capito: “Non credo che il padre avrebbe approvato, ma io sono la mamma… abbiamo sbagliato a non capire che abbiamo avuto una bambina, non un bambino”.
A distanza di quasi 10 anni dalla sua prima edizione, l’esordio letterario di Malusa Kosgran – nome d’arte di Giustina Porcelli, penna biscegliese – “La prima donna” è tornato in libreria lo scorso novembre con Morellini Editore, nella collana ‘Varianti’. La nuova stesura – come dichiara l’autrice stessa nei ringraziamenti – è stata molto impegnativa: si è trattato di una vera e propria riscrittura che, senza modificare in alcun modo l’intreccio narrativo – ispirato ad una storia vera – ha sacrificato alcuni passaggi affinché, nella nuova veste, la trama scorresse più agilmente.
Un romanzo che fa riflettere e non può lasciare indifferenti, raccontando esperienze reali con le quali pochi hanno voglia di confrontarsi.