La storia di Pinocchio, che racconta di un burattino che vuole diventare bambino, fa ormai parte del patrimonio culturale universale.
Sono numerose le chiavi interpretative del testo, una di queste considera Pinocchio un percorso iniziatico dell’essere umano, che non accontentandosi della soddisfazione dei bisogni materiali, intraprende un cammino di evoluzione. In questa visione “esoterica” Pinocchio non si butta nelle sue avventure per il mero gusto di trasgredire, ma per seguire l’istinto che lo spinge a cercare strade nuove. Il burattino infatti nonostante sia refrattario alle regole e alcune volte commetta degli errori, si mette sempre in gioco con molto coraggio.
Garrone, rimasto fedele al testo originale, sembra seguire questa interpretazione e il suo Pinocchio, come il libro di Collodi, può essere fruito a più livelli e da più generazioni. Lo spazio scenico è un luogo di confine tra il mondo bucolico di un passato recente e una favola ormai entrata nell’immaginario collettivo. Garrone invece di ricreare un luogo di fantasia sceglie di girarlo nelle campagne toscane, laziali e pugliesi utilizzando gli effetti speciali solo per rendere la storia più verosimile. Per esempio quello che si vede è un autentico bambino di legno, anche se è interpretato da un attore, il piccolo Federico Ielapi, che con la sua dizione poco limpida e il suo sguardo vispo è un Pinocchio credibile.
Il limite ontologico del burattino non è quindi un’illusione alla quale facciamo finta di credere, ma una condizione reale che facilita l’ingresso dello spettatore nella diegesi.
Nel racconto di Collodi è molto importante il rapporto tra Pinocchio e Geppetto, un falegname molto povero che si sente subito legato a quel pezzo di legno trovato nella bottega di Mastro Ciliegia. Straordinaria l’interpretazione che ne fa Roberto Benigni, che tra l’altro nel 2002 aveva diretto e interpretato proprio Pinocchio. Questa volta invece di gigioneggiare si offre generosamente, senza maschere né difese, proponendo un Geppetto puro e commovente.
L’uomo ce la mette tutta per essere un buon padre, ma l’amore non basta e si dimostra incapace di insegnare a Pinocchio cosa sia la vita. Compito che spetterà alla Fatina che, come nel testo originale, inizialmente è una bambina (morta). Quest’ultima è una figura fondamentale nell’evoluzione di Pinocchio e lo accompagnerà in diverse tappe: se in chiave psicoanalitica potrebbe essere definita la madre simbolica, in una più metafisica può essere considerata lo strumento del Fato (il nome non è casuale) che concede a Pinocchio la piena libertà di sperimentare, di sbagliare e diventare perciò responsabile delle proprie azioni.