“Gusci umani vuoti”: la storia dei malati di Pergine deportati per la Giornata della Memoria al Teatro Zandonai di Rovereto

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Tra il 25 e il 26 maggio del 1940, 299 uomini e donne di lingua tedesca ricoverati nel manicomio regionale di Pergine (classificato come ospedale psichiatrico) che aveva giurisdizione su tutto il Trentino Alto Adige furono deportati di notte in Germania. La crudele decisione fu concordata dalle autorità militari e civili naziste e fasciste tedesche e italiane nel quadro delle “opzioni esercitate dagli allogeni a favore del Terzo Reich” e del programma “Aktion 4” che prevedeva l’eliminazione per eutanasia dei malati psichici e dei disabili considerati “vite senza valore”. Fin dal 1939 in Germania era in corso il programma di eutanasia dei malati psichici e dei disabili, definiti come “gusci umani vuoti” e destinati all’eliminazione mediante soppressione. In alcuni manicomi tedeschi venivano portati i malati come ad Zwiefalten, nel Badenwuerttenberg che fungeva da smistamento per poi inviarli al centro di annientamento di Grafeneck. A nessuno compresi i loro parenti non venne permessa la possibilità di scegliere fra il restare in Italia e l’andare in Germania. Persone di estrazione sociale diverse: agricoltori, contadine, operai, artigiani, frati cappuccini, uno studente di un seminario, un ingegnere, un capostazione, un insegnante. La maggioranza è cattolica, due donne sono di religione ebraica. Quasi tutti erano da tempo ricoverati a Pergine, 30 provenivano dalla colonia agricola di Vàdena, 23 dall’Istituto di Nomi, alcuni da Udine e Gemòna.

 

Affetti da diverse patologie: schizofrenici, paralitici gravi, epilettici, alcolisti, persone in stato di confusione mentale, eccitazione, disturbi psicomotori. Due delegazioni, una italiana e una tedesca, hanno la responsabilità di organizzare il trasferimento. Tre tedeschi e un gruppo di 37 italiani composto da infermieri, suore, funzionari, il direttore del manicomio e il medico provinciale di Bolzano accompagnano in treno gli ammalati. Al loro arrivo a Zwiefalten, vengono accolti dal direttore dell’ospedale, molti ammalati si rifiutano di scendere dal treno e si dovrà usare la forza. Agli accompagnatori italiani viene invece impedito l’accesso all’ospedale, nessun contatto con i servizi interni, nessuna informazione sulle terapie. Il loro destino è segnato per sempre e non potranno mai più tornare in Italia.

Una storia tragica e poco conosciuta è stata scelta per ricordare il 27 gennaio la Giornata della Memoria che si è svolta al Teatro Zandonai di Rovereto dove è andato in scena lo spettacolo “Gusci umani vuoti. Cantata drammatica sulla deportazione dei matti di Pergine nel maggio del 1940” con la regia di Michele Comite. Una ricostruzione resa possibile dalla ricostruzione drammaturgica predisposta dal Laboratorio di storia di Rovereto insieme al Collettivo Clochart e realizzata attraverso l’azione scenica di una compagnia di normo-attori e di dis-attori. Un progetto realizzato in collaborazione con la Cooperativa sociale La Rete, il Comune di Rovereto, l’Anpi Rovereto-Vallagarina, proposto alle scuole medie e superiori e alla cittadinanza il racconto teatrale di uno degli episodi più drammatici e crudeli (e dimenticati) della storia del Novecento trentino.

Sulla scena Oliver Arrighini, Alisia Aurora Calzà, Giulia Chiavini, Davide Cimonetti, Andrea Corvino, Giulio Corvino, Olga Farris, Sofia Girardelli, Irina Iancu, Marta Massari, Alexander Pedrolli, Alice Riccardo, Sergio Sartori, Kasia Vaccari, Francesco Volani. La voce recitante di Alessandro Zanetti, le musiche eseguite dal vivo di Daniela Savoldi, (anche eccellente vocalist)  le suggestive coreografie di Hillary Anghileri. Assistente di scena Andrej Beregoi. La voce solista di Matteo Galvagni capace di emozionare visibilmente il pubblico con l’esecuzione del brano “Panis Angelicus”: il primo verso della penultima strofa dell’inno latino Sacris solemniis, composto da San Tommaso d’Aquino.

La regia curata da Michele Comite è stata capace di trasporre sulla scena la drammaticità di una pagina crudele che ha segnato l’umanità durante la seconda guerra mondiale. Sono le parole di Adolf Hitler che lo confermano: “Fintanto che lo stato sarà condannato a prelevare dai cittadini somme enormi che aumentano di anno in anno per il mantenimento di questi miserevoli malati ereditari, sarà altresì costretto a trovare misure adeguate a prevenire che in futuro una tale immeritata sofferenza venga trasmessa per via ereditaria e a impedire che a milioni di individui sani venga tolto il necessario sostentamento per tenere in vita milioni di malati”.

Il viaggio in treno dei malati del manicomio di Pergine (Laboratorio di storia di Rovereto)

 

Il giurista Karl Binding, si espresse per la loro eliminazione: “Costoro non hanno né la volontà di vivere né quella di morire. Per questo, né da un punto di vista giuridico, né sociale o morale o religioso, c’è alcun motivo per non acconsentire all’uccisione di questi esseri. In tempi di più alta moralità – nei nostri, invece, ogni forma di eroismo è andata perduta – si sarebbero liberati d’ufficio questi poveri esseri dalla loro stessa vita”. “Gusci umani vuoti” nella rappresentazione teatrale rievoca la drammatica vicenda che suscita negli spettatori una reazione emotiva culminata nell’applaudire alzandosi in piedi al termine. Le azioni coreografiche hanno un impatto visivo determinante e si avvicendano nel racconto che si fa sempre più drammatico: i visi mascherati resi anonimi, soggetti inermi e impotenti nelle mani dei loro carnefici; la deportazione contro la loro volontà; la prigionia dietro le inferriate che viene rappresentata efficacemente dalla scenografia; le fotografie originali proiettate sullo schermo mostrano visi sofferenti; i medici in camice bianco la cui missione di curare viene abdicata per ubbidire alla cieca follia nazista di sterminare ogni forma di vita “diversa”.

 

Gusci umani vuoti regia di Michele Comite

 

 

La scelta delle musiche di scena: Steve Reich, Giorgio Battistelli, César Franck, The Comet is Coming e lo struggente Agnus Dei di Samuel Barber che accompagna i protagonisti nel finale, esaltano la potenza drammaturgica visiva dell’azione scenica e ci costringono – ancora una volta – ad interrogarci sul male commesso dall’uomo.
La documentazione da cui è stato tratto “Gusci umani vuoti” è tratta da “Il diradarsi dell’oscurità “ (volume 1/1939-1941) realizzato dal Laboratorio di storia di Rovereto:  tre volumi di 1400 pagine che raccontano il Trentino e i trentini nella seconda guerra mondiale. Una ricerca negli archivi pubblici e privati di tutto il mondo. Un accurato lavoro di documentazione che ha permesso di riscoprire dall’oblio storie drammatiche come quella dei malati di mente di Pergine. Tra le tante testimonianze di quanto accaduto gli autori hanno scelto anche quella di un’infermiera che lavorava nell’ospedale psichiatrico dove furono deportati dall’Italia i pazienti.

 

 

I malati del manicomio di Pergine al loro arrivo in Germania (Laboratorio di storia di Rovereto)

«Quando nell’agosto 1940 tornai dalle vacanze, undici dei miei pazienti non c’erano più, ma nessuno sapeva dove fossero stati portati. Credevamo che li avessero trasferiti in un manicomio in cui sarebbero stati curati bene. Ma quando l’8 novembre 1940 sparì un secondo gruppo di donne e ci vedemmo riconsegnata la loro biancheria in condizioni pietose, come fosse stata strappata, diventammo sospettose. Il terzo trasporto di donne ebbe luogo il 9 dicembre 1940. Fu particolarmente difficile per noi infermiere consegnare queste pazienti, di cui ci eravamo occupate per anni, come fossero bestie destinate a una morte che reputavamo quasi certa. Gli addetti ai trasporti giungevano da Berlino ed erano donne e uomini rudi e spaventosi: afferravano bruscamente i pazienti e li immobilizzavano nelle vetture, a volte addirittura con catene. Le ambulanze non si presentavano all’entrata principale, ma arrivavano prima dell’alba nel cortile interno – dove venivano radunati i degenti selezionati – e sempre prima dell’alba lasciavano l’ospedale. I pazienti cominciarono a capire cosa stava loro per succedere e piangevano, a volte urlavano anche. Una donna che era stata trasferita dal reparto alla cosiddetta casa di campagna, da dove partivano i trasporti, disse: «So cosa mi aspetta». Prima che la portassero via, chiese un dolcetto come regalo di addio. Tempo dopo la sua deportazione, alla sorella fu comunicato che la paziente era morta di dissenteria».

Le parole di Maria Vollweiler una delle poche sopravvissute danno il senso di quanto sia stata crudele la permanenza in questo ospedale.

«Ero arrivata a Zwiefalten da alcune settimane quando, al mattino molto presto, io e altre pazienti fummo preparate per un trasporto e un’infermiera ci mise un numero sulla schiena. Da Zwiefalten fummo portate a Grafeneck dentro autobus verniciati di grigio, ero quasi certa che mi trovavo in un carico di morti. A Grafeneck fummo subito portate in una lunga baracca. Dalla finestra di questa baracca ho visto che l’istituto era circondato da filo spinato. In quella stanza dovemmo aspettare forse due o tre ore, sorvegliate da alcuni infermieri. Quando fu chiamato il mio nome, fui portata in un’altra baracca attraverso un lungo corridoio. Lì stavano seduti dietro alcuni tavoli circa sei uomini, probabilmente dottori. Uno di questi mi interrogò per circa un’ora. Poi arrivò un sorvegliante, dovetti scoprire la schiena e il sorvegliante cancellò il numero. Fui portata in una piccola stanza in cui c’erano quattro letti. Anche qui dovetti aspettare a lungo. Quindi fui riportata a Zwiefalten in un’automobile. Di tutte quelle che conoscevo, venute con me a Grafeneck, non ho più rivisto nessuna, e devo supporre che io sia l’unica sopravvissuta di tutto il carico».

La deportazione dei malati del manicomio di Pergine (Laboratorio di storia di Rovereto)

 

Aktion T4 era il programma di eugenetica, avviato nel 1939 e inizialmente rivolto solo ai bambini con deformazioni e disabilità. Mirava all’eliminazione metodica dei neonati con problemi fisici o mentali. Il programma prevedeva l’eliminazione di 300 mila persone disabili iniziando dai bambini. furono loro le prime vittime dell’operazione T4 chiamata così perché l’ente nazista per la salute e l’assistenza sociale di Berlino si trovava in Tiergartenstrasse 4. Si procedeva a sterilizzare persone affette da disabilità per impedire di riprodursi, isolare e segregare sia bambini che adulti per evitare che potessero vivere inseriti nella società e ancor più atroce erano destinati a diventare cavie di esperimenti scientifici per poi essere soppressi.

Nel Comune di Verrone  a Castello Vialardi, in provincia di Biella, è in corso la mostra “Perché non accada mai più, ricordiamo”, inaugurata dalla sezione locale Anffas visitabile fino al 29 febbraio che documenta questa pagina tragica di storia.

Il romanzo di Steve Sem-Sandberg, “I prescelti” (Marsilio, 2018), documenta  quanto avvenne all’interno del “Spiegelgrund”, l’ospedale viennese in cui, tra il 1940 e il 1945, furono internati migliaia di bambini – e poi anche adulti – “non sani” o semplicemente orfani o piccoli delinquenti: “degenerati razziali”.

 

 

 


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