Condannato per diffamazione nei confronti di un boss deceduto. Troppo forte l’espressione utilizzata.
L’articolo di Rino Giacalone è stato pubblicato sul blog “Malitalia” ad aprile del 2013 in seguito alla morte di Mariano Agate che fu definito “un gran bel pezzo di m….”. Questo passaggio è stato considerato dalla Corte d’Appello di Palermo diffamante e lesivo della dignità di Agate. E per tale ragione il giornalista è stato condannato ad una pena pecuniaria di 600 euro oltre al risarcimento dei danni morali agli eredi quantificati in 500 euro per ciascuno. In specie è stato riconosciuto il reato di diffamazione alla memoria a mezzo internet. Il pubblico ministero aveva chiesto la condanna a quattro mesi di reclusione più 400 euro di multa.
Con questo verdetto è stato riconosciuto uno spazio per la tutela dell’onore di Mariano Agate sebbene questi in vita avesse aderito ad un’associazione che fondava la sua forza sull’intimidazione e l’assoggettamento, un’associazione di stampo mafioso, appunto. Per la cronaca Agate è stato il capo del “mandamento” di Mazara del Vallo
ed era legato al cosiddetto gruppo dei corleonesi facenti capo al più noto Totò Riina. Per questo la sua morte divenne una notizia. La condanna di Giacalone per l’espressione utilizzata, pur nel totale rispetto del ruolo del collegio giudicante, lascia spazio all’amarezza.
Rispettiamo profondamente la sentenza della Corte di Appello di Palermo, come ogni altra pronuncia dell’autorità giudiziaria. Non possiamo non segnalare, tuttavia, come questa decisione desti enorme perplessità. Come ebbe ad osservare il giudice di primo grado, appare evidente l’intento pedagogico e tutt’altro che diffamatorio che connota la sineddoche provocatoriamente utilizzata da Rino Giacalone. Suscita grande stupore, inoltre, il fatto che la Corte di Appello abbia ritenuto di non pronunciarsi circa la questione di costituzionalità della pena carceraria per il reato di diffamazione, ritualmente sollevata dai difensori del giornalista. I legali del collegio difensivo del blogger trapanese (Domenico Grassa, Enza Rando, Carmelo Miceli, Giulio Vasaturo) hanno già anticipato la loro volontà di impugnare anche questa decisione, non appena ne saranno rese note le motivazioni. “Se necessario, siamo pronti a ricorrere sino alla Corte Europea dei Diritti Umani”, spiegano gli avvocati.
Intanto in relazione alla richiesta di condanna al carcere è prevista una iniziativa congiunta tra Fnsi, Articolo 21 e Libera in vista dell’udienza di aprile prossimo nella quale la Corte Costituzionale affronterà il nodo del carcere per i giornalisti, in attesa di una responsabile e condivisa ridefinizione del reato di diffamazione a mezzo stampa.
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