‘Hammamet’ è un pugno nello stomaco. Pierfrancesco Favino sembra resuscitare Bettino Craxi. La somiglianza del viso è perfetta, si muove con la stessa andatura e parla con la stessa cadenza e timbro di voce dell’ex segretario del Psi. Identici perfino i tic. Un terribile rantolo accompagna i passi più drammatici.
L’attore, scelto dal regista Gianni Amelio per il suo film ‘Hammamet’, non nasconde la propria emozione e le difficoltà dell’interpretazione al Corriere.it: «È stato un viaggio molto lungo e pieno d’insidie». La villa di Hammamet, al contrario di tante vulgate, non è certo una casa «da nababbo».
«Il mio tempo è scaduto». In ‘Hammamet’ c’è un Bettino Craxi crepuscolare, umiliato ma combattivo. Il film di Gianni Amelio è sull’ultima parte della vita nel rifugio di Hammamet in Tunisia. Si parla della sua vita personale, dell’affetto della sua famiglia, delle gravi malattie (prima il diabete, poi il cuore e quindi il tumore) che provocarono la morte il 19 gennaio del 2000, esattamente venti anni fa.
Si parla delle due condanne per corruzione e finanziamento illecito ai partiti, della sua decisione di lasciare l’Italia contro le sentenze da lui considerate ingiuste. Ma si parla poco o nulla della sua politica di modernizzazione dell’Italia, della contestazione dell’egemonia della Dc sul governo e del Pci sulla sinistra dall’opposizione. Si accenna soltanto alla sua coraggiosa politica di autonomia dagli Usa da presidente del Consiglio quando, a Sigonella, contestò il diktat di Ronald Reagan sulla limitazione della sovranità italiana (allora non cambiò posizione sul Medio Oriente come, in un altro caso, sulla Libia di Gheddafi bombardata dal presidente americano). In sintesi: alleati degli Usa ma non subalterni.
Non si parla nemmeno delle sue scelte di garantire il progresso economico dell’Italia rispettando i diritti dei lavoratori come quando lanciò il patto anti inflazione e il referendum abrogativo di Berlinguer fu sconfitto. Non si parla della battaglia umanitaria per salvare la vita di Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse né della lotta contro la mafia e il terrorismo. Appare appena un riferimento all’aiuto politico (e finanziario) a chi lottava contro le dittature fasciste (in Cile, in Spagna, in Portogallo, in Grecia), ai dissidenti contro i regimi comunisti dell’Europa dell’est, ai palestinesi.
Si parla delle tangenti per finanziare il Psi. In ‘Hammamet’ un gruppo di turisti italiani in Tunisia assale Craxi gridando: «Ladri!». Egli risponde appena alterato ma è sconvolto. E’ sarcastico: «Scavate nel mio giardino, cercate il tesoro! Troverete delle monetine!». Il riferimento ironico è alla folla inferocita di leghisti, missini, postcomunisti che a Roma nel 1993 gli lanciò contro una valanga di monetine per dileggio.
Le accuse della procura della Repubblica di Milano, guidata da Francesco Saverio Borrelli, e il tritacarne dei giornali e delle televisioni, assieme alla crisi economica, avevano provocato l’antipolitica e la caccia all’uomo contro il “Cinghialone”. Vittorio Feltri, acceso sostenitore di Mani pulite e di Antonio Di Pietro, fu uno dei principali accusatori e affibbiò a Craxi il soprannome velenoso di “Cinghialone” per la sua mole fisica da gigante e la sua combattività. Quasi tutta l’informazione gli andò dietro criminalizzando il “Cinghialone”. Poi il direttore dell’’Indipendente’ parlò con Craxi e si pentì. Ne ‘Il Borghese. La mia vita e i miei incontri da cronista spettinato’, un libro pubblicato nel 2018, Feltri ha scritto: «Io sbagliai. E lo ammetto. E ho imparato dal mio errore».
Il segretario socialista il 3 luglio 1992 ai alzò e fece un coraggioso discorso alla Camera sulle mazzette: «Buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale». Sfidò tutti a dire la verità: «Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro».
Nessuno fiatò né per dichiarare né per negare i finanziamenti illegali. E Craxi rimase da solo. Tutte le forze politiche incassavano finanziamenti illegali per affrontare le spese di campagne elettorali, di congressi, degli apparati, della stampa di partito. I proventi del tesseramento degli iscritti non bastavano a sostenere le spese dell’attività politica. L’andazzo, né bello né misterioso, di fatto fu tollerato fino al crollo del comunismo e alla fine dell’Unione sovietica nel 1991, poi scoppiò il finimondo. Tangentopoli annientò tutti i partiti di governo: Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli. Colpì in particolare Craxi. Il Psi si sbandò, i suoi elettori in gran parte votarono per Forza Italia di Silvio Berlusconi o per il Pci-Pds di Occhetto, D’Alema, Veltroni. La Lega di Bossi, il Msi e gran parte del Pds picchiarono duro favorendo, assieme alla stampa, la criminalizzazione dei partiti di governo della Prima Repubblica.
Craxi, uomo di sinistra, si addolorò soprattutto per gli attacchi provenienti dal Pds, dagli eredi del Pci. Piero Fassino per primo rivalutò Craxi definendolo «un capro espiatorio». Successivamente anche D’Alema, Veltroni e Napolitano hanno apprezzato la sua levatura politica, la capacità di aprire le porte all’innovazione e hanno lamentato la mano estremamente pesante usata dalla giustizia contro di lui. Sergio Staino, ex direttore de ‘l’Unità’, è pentito per la gioia provata quando Craxi fu coperto da monetine perché fu un drammatico errore politico.
Anche in altri paesi europei (in particolare in Germania, Spagna e Francia) scoppiarono gravi scandali ma in questi casi un solido assetto democratico resistette alla criminalizzazione. In Italia, invece, fu cancellata la Prima Repubblica e cominciò la Seconda che tradì tutte le speranze di rinnovamento etico, politico, economico e sociale. Scoppiò una interminabile crisi economica, la corruzione pubblica continuò a dilagare e, in gran parte dei casi, le tangenti non andavano a finanziare il partito ma l’arricchimento personale. La Terza Repubblica basata sulla rivoluzione populista-sovranista della Lega di Salvini e del M5S di Grillo-Di Maio non sembra andare meglio ed è sempre più in crisi.
L’ex direttore dell’’Avanti!’ Ugo Intini, ha indicato le gravi conseguenze: l’apertura della strada alla privatizzazione della politica da parte dell’economia e all’affermazione di forze politiche illiberali. In Italia si affermò il centro-destra guidato da Berlusconi, ora affila le armi il nuovo centro-destra egemonizzato da Salvini. In gran parte dell’Europa ha conquistato il governo o la supremazia nell’opposizione l’estrema destra sovranista con venature autoritarie. Le false rivoluzioni cominciano a sinistra e finiscono a destra.
Latitante o vittima? L’Italia ancora si divide anche se la furia della “rivoluzione nuovista” si è spenta. Il film ‘Hammamet’ è un ulteriore contributo a capire il personaggio e a comprendere perché il Psi, un partito glorioso con oltre 100 anni di storia alle spalle, è stato annientato e ridotto a un micro forza politica sotto l’1% dei voti. Nel ventesimo anniversario della morte di Craxi anche l’uscita di molti libri aiuta a capire. Claudio Martelli, ex vice segretario del Psi, ha scritto ‘L’antipatico’. I giornalisti Marcello Sorgi, Fabio Martini e Filippo Facci hanno pubblicato rispettivamente: ‘Presunto colpevole’; ‘Controvento. La vera storia di Bettino Craxi’; ‘Bettino Craxi, il primo e ultimo giorno di una Repubblica’.
Craxi è stato detestato dai nemici, rimosso con senso di colpa da molti estimatori ma anche da tanti avversari. La sua figura e la sua storia tragica intimorivano. Adesso forse non è più così.
Craxi forse avrebbe potuto salvare la sua vita. C’era una proposta per portarlo in Italia e farlo operare a Milano. Ma lui non volle perché la procura della Repubblica di Milano reclamava gli arresti domiciliari in ospedale al suo rientro in Italia. Gli sembrò una inaccettabile ammissione di colpevolezza. Fu operato in Tunisia in un ospedale malamente attrezzato e subito dopo morì. E’ sepolto nel piccolo cimitero cristiano di Hammamet. Aveva annunciato: «Tornerò in Italia solo da uomo libero». E’ morto in Tunisia all’età di 65 anni da uomo libero. La famiglia rifiutò i funerali di Stato proposti da Massimo D’Alema, allora presidente del Consiglio. Strana coincidenza. Anche la famiglia di Moro nel 1978 rifiutò i funerali di Stato avanzati da Giulio Andreotti.