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Come i pifferi di montagna

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“Come i pifferi di montagna, che andarono per suonare e furono suonati”. Chi troppo si gonfia si sgonfia. Molta sicurezza di sè porta a commettere errori fino al peggiore di tutti che è l’arroganza. Ora che gli hanno tagliato la cresta, Salvini come Di Maio – come in precedenza Renzi, Berlusconi, Craxi – proverà a fare più attenzione a non perdere anche la testa. Almeno si spera. Ma difficilmente ci riescono, con il servilismo di media sempre intenti a fabbricare e distruggere, uno dopo l’altro, leaderismi e partiti dell’io. E Santori faccia attenzione perché ci stanno provando anche con le Sardine. Che ieri ci hanno dato una lezione. Se continueranno a darcela, con la sobrietà e l’intelligenza che finora li distingue, vigilando, parlando e cantando dalle loro piazze, materiali o virtuali, facendo politica pur senza sostituirsi ai partiti, aiuteranno la sinistra ad avviare finalmente quella rivoluzione dal basso, culturale e politica, di cui c’è tanto bisogno (e di cui poco si parla) ma nessuno finora ha avuto il coraggio o la forza di cominciare.

Una rivoluzione prima di tutto morale. Perché ci vuole coraggio a contrastare una cultura che ci vuole inesorabilmente winners o loosers, vincenti o perdenti, che ci costringe a fare della competizione, quando non del conflitto, la legge fondamentale del vivere in società. Con il potere che procura denaro e il denaro che, come un tempo la forza fisica, procura potere.  Anche quando il potere non è usato per imporre il dominio sugli altri, di fatto produce diseguaglianza e con la diseguaglianza il conflitto e il male comune. Mentre la democrazia ha senso solo se si pone come obbiettivo principale il bene comune, mediando tra gli interessi a partire da quelli dei più deboli, distribuendo e bilanciando i poteri (altro che i pieni poteri chiesti da Salvini). Ponendo la cooperazione al di sopra della competizione, perché si può vivere e lavorare insieme anche pensando ognuno con la propria testa, purché ci sia disponibilità al dialogo e, perché no, al compromesso. Se i lavoratori oggi hanno meno poteri nei confronti dei datori di lavoro è anche perché la cultura individualista imposta dal capitalismo ha indebolito la solidarietà. Le piazze che si riempiono anche se non c’è nessuno che parla dal palco sono un primo passo sulla via giusta per questa rivoluzione.

Ma poi ci vuole anche una rivoluzione politica.  Quella che hanno tentato i Cinque Stelle sta naufragando non tanto per l’incompetenza della sua classe dirigente quanto per l’inconsistenza ideologica e strategica di una protesta nata per l’incapacità dei partiti tradizionali di rappresentare e proteggere gli interessi dei ceti medio bassi in un mondo globalizzato.  La bipolarizzazione che si riaffaccia con il voto di ieri dimostra che non si può fare efficacemente politica senza scegliere tra destra e sinistra,  tra liberismo e socialismo, comunque si voglia chiamare la difesa del pubblico dall’invadenza privata, la protezione dei poveri dai privilegi dei ricchi. Il riformismo, che è rimasto parola astratta in troppe parti d’Italia, ha avuto nella storia recente e meno recente dell’Emilia Romagna una concretezza che per ora, messa a confronto con una destra feroce, si rivela vincente. Per quanto tempo si vedrà.

Possiamo però dire che questa concretezza trascina definitivamente nel ridicolo la ricerca ossessiva del pelo nell’uovo che da anni sta distruggendo la sinistra con la scissione dell’atomo. Basta con i battibecchi fra mini-leader. “Libertà è partecipazione”, cantava Gaber. Vale per i cittadini, ma anche per chi avrebbe il dovere di lasciarli effettivamente partecipare, non solo per i gazebo. Ci sono scelte fondamentali di politica interna, internazionale, economica in cui sarebbe doveroso chiedere con umiltà un contributo sia ai militanti che alla competenza diffusa nel Paese. Curioso dunque che Goffredo de Marchis, sulla Repubblica, scriva oggi che “certamente il congresso del Pd è già finito dopo il successo in Emilia”.  Compito della “cosa nuova”  che dovrebbe nascere nei prossimi mesi – ma faccio fatica a riferire un annuncio  troppe volte tradito – non sarà quello di confermare Zingaretti alla segreteria e neppure quello, ipotizzato dal collega, di  proporre Bonaccini per la presidenza. Compito di una nuova sinistra sarà quello di coniugare i suoi valori tradizionali con la ricerca onesta (non propagandistica cioè) di una soluzione ai grandi problemi che l’umanità di oggi e di domani ha di fronte. In Italia, in Europa, nel mondo.


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