Dai documenti dell’ultima inchiesta giudiziaria sul caso di Emanuela Orlandi (il 14 gennaio ne ricorreva la nascita) affiorano notizie che riaccendono l’attenzione su uno dei tanti sentieri investigativi della vicenda privi di una meta. Quello della BMW dell’uomo che il 22 giugno 1983 su corso Rinascimento, di fronte al Senato, con la scusa di un lavoro fittizio (volantinare a una sfilata di moda in cambio di 375.000 lire), aveva fermato l’adolescente vaticana poche ore prima della sua scomparsa.
Incamerata la descrizione dai due testimoni oculari dell’incontro (un agente di polizia e un vigile urbano), sulle tracce di quella vettura si mise l’allora 007 Giulio Gangi, amico degli Orlandi. Come raccontò ai magistrati il 23 ottobre 2008, dalla sede italiana della casa automobilistica tedesca seppe che era un modello “Touring color verde tundra” e che era stata portata presso una delle loro officine autorizzate, “probabilmente in zona Vescovio”, da una donna, “non loro cliente”, per la riparazione del “vetro laterale anteriore passeggero rotto apparentemente all’interno”. La signora alloggiava al residence “Mallia”, situato nell’elegante quartiere della Balduina. Gangi vi salì, se la fece chiamare dalla reception e con la scusa del coinvolgimento in un incidente, le chiese chi fosse il proprietario di quella macchina. Lei – “non molto alta, bionda vistosa, capelli lunghi fino alle spalle, parlava senza inflessioni dialettali, più vicina ai venti che ai trenta” – si rifiutò di rispondere. Al che lui la avvisò che sarebbe stata convocata dalla polizia e dopo circa quaranta minuti rientrò in ufficio. Dove fu rimproverato da uno dei suoi superiori, informato di quell’incontro dalla direzione del SISDe.
Sempre nel 2008, e in questi termini, questa storia finì sui media. Senza però un finale, perché s’ignorava il nome della donna e, soprattutto, se la BMW della Balduina fosse la stessa di corso Rinascimento. Assenze che prestarono il fianco a più ipotesi, fra le quali che su quell’auto fosse salita Emanuela Orlandi la sera del 22 giugno 1983 e che fosse stata lei, accortasi di essere caduta in una trappola, a rompere il finestrino in un tentativo di fuga.
Sennonché, esaminando gli atti dell’indagine, scrivere quell’epilogo non sembra impossibile. Già perché il 28 ottobre 2008 la Mobile trasmise in Procura una nota che descriveva come nella loro documentazione sulla vicenda Orlandi avessero rinvenuto un fascicolo di “note inerenti comunicazioni tra gli uffici del SISDe relative al 1983 ed appunti (tutti privi di data ed estensore) inerenti notizie varie acquisite all’epoca”. E che c’era fra questi? Anche gli accertamenti su una “BMW Touring di colore verde”, portata in un’officina sulla Circonvallazione Nomentana, a 700 metri da piazza Bologna, da una signora “intorno al 25/30 giugno (si presume del 1983) per la riparazione del vetro destro anteriore rotto”. La donna, che disse “di avere avuto l’autovettura in prestito […], si identifica per M. D., domiciliata presso il residence ‘Mallia’, appartamento nr. 11*”.
La diretta interessata fu ascoltata in procura il 3 febbraio 2009. Disse che a seguito di lavori di ristrutturazione della loro abitazione, lei e il marito avevano abitato al “Mallia”. Ma dal 1984 e per un anno. All’epoca, causa un guasto della loro auto, si erano fatti prestare da un amico una BMW. Però di “color giallo acido molto appariscente dotata, mi sembra, di una capotte”. Escluse “categoricamente di aver mai portato tale auto presso un’officina meccanica”, ma confermò che nel suo periodo al residence fu cercata da un individuo che la fece chiamare alla reception: “Io scesi e questo soggetto, giovane d’età, si presentò come un poliziotto, mostrandomi un tesserino […] Di quell’incontro ho solo vaghissimi ricordi, mi sembra che mi disse che mi sarei dovuta presentare presso un commissariato, anzi mi sembra quello di via Guido Alessi, non molto lontano dal residence”. La donna vi andò col coniuge. Un funzionario “amico di mio marito […] mi riferì che i servizi segreti avevano messo sotto controllo il telefono del ‘Mallia’ nonostante lui gli avesse detto che ero una brava persona […]. Non sono sicura che questa circostanza del controllo del telefono me la disse in quell’occasione o un incontro successivo”.
Un racconto molto interessante. Perché quasi identico a quello dell’ex 007. Ma con sottili quanto sostanziali differenze: l’anno trascorso al “Mallia”, il colore della vettura, le divergenze sull’integrità del finestrino, la differente zona dell’officina. E allora ci si chiede: D. e la donna di Gangi sono la stessa persona? Se così non fosse, significherebbe che per due anni, nello stesso residence, alloggiarono due signore, in possesso di altrettante BMW, raggiunte da uomini delle forze investigative. Tra l’altro: fu verbalizzato il colloquio tra D. e il funzionario di polizia? Davvero i Servizi misero sotto controllo i telefoni del residence? E che cosa raccontavano gli altri loro appunti nel fascicolo della Mobile?
Oggi D. è un nome che non dice niente a Gangi. E lei, contattata al suo indirizzo di residenza, ha finora risposto con un silenzio analogo a quello riscontrato in ambienti investigativi. Mentre al “Mallia” già nel 2012 dissero che i registri cartacei dell’epoca erano stati eliminati con l’avvento dell’informatica.
Oltre a renderlo sempre più una matrioska di misteri, la nebbia mai del tutto diradata su quest’altro capitolo del caso Orlandi impone la dubitativa per un’ultima considerazione: ma non è che la BMW della Balduina non aveva niente a che vedere con quella di corso Rinascimento?