BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Angela Procaccini: “Parliamo ai ragazzi, guardiamoli negli occhi”

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Abbiamo incontrato in occasione di un incontro dedicato al bullismo e alla violenza di genere Angela Procaccini, insegnante, scrittrice per la Graus Edizioni di Napoli. Mamma della compianta Simonetta Lamberti, bambina erroneamente assassinata in un attentato camorristico la cui vittima predestinata era il padre, il giudice Lamberti.

Dottoressa Procaccini si parla tanto di bullismo ma, realmente, cos’è per lei il bullismo?
Il bullismo è una fragilità emozionale, un’aridità della coscienza che spinge un giovanissimo a scaricare la sua rabbia e la sua frustrazione su chi vede più debole. Sull’argomento andrebbero spesi fiumi di parole.

Perché?
Gli studiosi della psicologia dello sviluppo hanno approfondito l’argomento, ma in realtà molto spesso sono i docenti a trovarsi a diretto contatto con episodi davvero spiacevoli, di cui si fanno protagonisti in negativo gli adolescenti, vittime di quella “frantumazione culturale”, come con frase efficace definisce il contesto esterno Franco Fraboni, una frantumazione dovuta a una cultura diffusa per frantumi, per frammenti, per “schegge cognitive” di cui è sostanziato il contesto extrascolastico.

Giovani fragili?
La fragilità dei giovani deriva soprattutto da questo contesto e le manifestazioni di illegalità sono l’espressione più appariscente della duplice fragilità, non solo quella del ragazzo vittima, ma anche quella del ragazzo prevaricatore, prepotente, “l’ aguzzino”, accomunati da un’unica piattaforma disadattiva, seppure articolata in direzioni spesso diverse.

Un’analisi più attenta?
Per un’analisi più approfondita, bisogna fare alcune riflessioni: in primo luogo, come suggerisce Ada Fonzi, professore emerito di psicologia dello sviluppo all’Università di Firenze, oggi si deve parlare non di un “gioco crudele” tra chi opprime e chi subisce, un gioco, quindi, se pure doloroso per uno dei partner, ma di una vera e propria “crudeltà violenta”. Alla domanda di fondo “qual è la causa fondamentale del fenomeno?”, la Fonzi risponde che non è possibile stabilirne un’unica causa, in quanto “il fenomeno è il risultato di un complesso gioco di azioni e retroazioni in cui componenti genetiche, maturative e ambientali concorrono a delineare le traiettorie individuali”; ad esse va poi ad aggiungersi un’altra “caratteristica fondamentale della persona umana, la capacità di autoregolazione e autodeterminazione”. Ecco, come risposta più “scientifica” mi piace fare riferimento alla prof. Fonzi.

Di concreto cosa si sta facendo per prevenirlo o almeno arginarlo?
Tanti sono i progetti che le scuole impiantano per correggere o arginare il fenomeno. Ma spesso tutto finisce in una bolla di sapone. Tra le ultime strategie contro il bullismo, c’è da citare quella nella quale gli studenti, accompagnati da docenti e psicologi, lavorano contro il fattore H del bullismo per supportare persone con disabilità e BES (bisogni educativi speciali) sviluppando nuove competenze  e modelli di socializzazione inclusiva. Recentemente sono stati presentati i risultati della prima sperimentazione del progetto europeo DisAbuse, che ha coinvolto 4 paesi europei, tra cui l’Italia con la Fondazione Mondo Digitale. Un percorso lungo che però sembra aver raggiunto buoni risultati.
Comunque bisogna capire che gli studenti che sono entrati nelle scuole negli ultimi dieci anni, vengono da storie diverse e vedono stabilirsi il loro rapporto con la realtà in un modo nuovo e inedito. Non è più questione di “socializzarli”, di educare solo cittadini dello stato- nazione, di trasmettere basi comuni di conoscenza, abilità, identità.
Si tratta di rendere significativo l’incontro tra diversità, il lavoro di trasmissione di contenuti culturali. Ma perché vi sia questo approccio significativo, c’è bisogno di una attenzione particolare, di un coinvolgimento diverso. C’è bisogno soprattutto che il prof guardi negli occhi i suoi ragazzi e riesca a intuire la fragilità che è alla base della loro coscienza, una fragilità che diventa ostilità nei confronti di quel compagno debole o di quello che è ciò che lui non potrà mai essere.

Esiste una collaborazione tra il mondo della scuola  e le famiglie?
Apparentemente sembra che le famiglie prendano coscienza dell’importanza della loro partecipazione, ma mentre in scuole dell’hinterland o di zone depresse culturalmente si arriva talvolta all’aggressività nei confronti della scuola, in contesti più evoluti culturalmente i genitori si arrogano spesso  il diritto di entrare nel merito di scelte culturali e di strategie educative. Insomma, è sempre difficile trovare un valido punto di intesa, nell’interesse primario dei ragazzi.

Spostiamo l’obiettivo rimanendo, però, nel campo della violenza. Quella sulle donne. Anche in questo caso si fa un gran parlare ma a che punto siamo in merito a prevenzione e repressione?
È innegabile che fatti sconcertanti si stiano verificando ultimamente nei confronti delle donne, il che disorienta e avvilisce la società in cui viviamo. Anche qui il problema è di difficile soluzione, perché la metamorfosi socio/culturale è stata troppo rapida e non ha consentito a donne e uomini di rielaborare in modo adeguato il cambiamento. Ad una donna silenziosa e laboriosa si è sostituita una donna sicura di sé e disinvolta, ambiziosa e libera. E l’uomo è rimasto spesso spettatore disorientato. Ma cosa si fa oltre  che parlare e discutere? Ci sono indubbiamente settori della Polizia di Stato e dei Carabinieri che si occupano delle donne perseguitate, ci sono, extrema ratio,  case di accoglienza per donne maltrattate, ma tutto questo non basta se non si riesce a introiettare nelle coscienze umane un cambiamento inevitabile e radicale del rapporto uomo/donna. E lo si può fare solo con l’educazione, nel senso etimologico del termine (da e-ducere: tirar fuori, far venire su dalla coscienza), “iniettando” già nei bambini il senso della trasformazione sociale e morale e del rispetto reciproco.

Perché, secondo lei, scaturisce tanta violenza tra uomo e donna?
In un certo senso ho già risposto: la donna si è lanciata vittoriosa verso  conquiste entusiasmanti e spazi aperti, l’uomo ne è rimasto disorientato. È difficile adattarsi ad una situazione nuova e quando la donna contesta e accampa nuovi traguardi tessuti di successi e di autonomie, servendosi di linguaggi decisi, con ragionamenti serrati fatti di pragmatismo e razionalità, l’uomo si rende conto di non farcela, non riesce a mediare come dovrebbe e così arriva alla violenza, l’unico sistema alternativo in certi contesti. Ma io non sono intransigente: penso anche all’uomo abbandonato, avvilito e sconcertato che spesso rimane, dopo una separazione o un divorzio, senza figli, senza casa, senza troppi mezzi economici, senza il calore di una famiglia. Per molti di questi uomini la vita diventa insostenibile, difficile e l’amarezza spesso si trasforma in rabbia, in violenza. Concludo dicendo che l’equilibrio va usato d entrambe le parti. Solo così si potranno evitare soluzioni estreme.

Come educare i ragazzi al rispetto degli altri?
Parlando con loro, guardandoli negli occhi, sia che siano figli, sia che siano alunni. La madre, il padre, come la scuola devono creare nei bambini e nei ragazzi quel “nucleo caldo” di valori e di sentimenti, che potrà aiutarli a non soccombere nelle avversità. Io, quel “nucleo caldo” lo avevo dentro di me e mi ha aiutato in una delle prove più difficili che la vita possa riservare ad una creatura umana.

Lei ha perso una figlia, Simonetta, in un agguato camorristico dove doveva essere assassinato suo marito. Invece andò diversamente. Ora tra le strade delle nostre città e a Napoli, in modo particolare, l’età di chi delinque si è notevolmente abbassato. Perché?
Bisogna parlare ai ragazzi, parlare molto e riuscire a penetrare nelle coscienze superando il muro creato da escrescenze tecnologiche talvolta mostruose. Vedete cosa propina la televisione: programmi in cui come specchietti per le allodole , si offrono donne leggere, concorsi che fanno sperare nel successo, incontri di uomini e donne che falsano il sentimento, offese al sesso femminile che nessuno nota, spettacoli talvolta di una volgarità incredibile … Eppure sono spettacoli di conduttori che riteniamo intelligenti, ma che, per stimolare il peggio dell’uomo, offrono la volgarità più sfrenata. Come condannare i nostri ragazzi se questa è la società reale e virtuale nella quale soffocano?

In che modo si potrebbe intervenire?
Difficile oggi intervenire su tutto il campo. Si può solo intervenire nel particolare. Perciò continuo a ripetere ai genitori di comprendere parlare ai figli, ai docenti di non essere “come ragni invischiati nella loro tela” (parafrasando Pennac), ma persone reali con sentimenti e anche dubbi, capaci di stimolare la curiositas, che è alla base della conoscenza, e le emozioni, che sono il sale della vita.

Lei ha scritto anche tanti libri. Come si possono emozionare i ragazzi ed educarli al bello?
Le esperienze più gratificanti della mia vita professionale sono quelle avute proprio in contesti particolari: nell’Istituto Professionale Casanova di Napoli, con ragazzi non sempre perfetti, ho lasciato l’impronta della poesia che aiuta e unisce perché tocca argomenti che appartengono al genere umano; nell’Istituto Nautico “Duca degli Abruzzi” ho fatto nascere nei giovani l’amore per il Mare, fonte di cultura e di lavoro, nell’Istituto Superiore Mennella di Ischia, ho dato ai ragazzi il senso dell’appartenenza e dell’orgoglio dell’appartenenza ad una contesto ricco e variegato, nell’Istituto Penale Minorile di Nisida, dove ho tenuto un Laboratorio di Poesia, ho parlato ai ragazzi di nostalgia, di dolore, ma anche di speranza e di resilienza, partendo dalla mia esperienza personale e mettendo a nudo il mio dolore. E loro hanno risposto nel migliore dei modi, perché “scrivere di sé diventa cura dell’inquietudine, attraverso l’elicitazione dell’inquietudine stessa” (Duccio Demetrio).
Ho sempre voluto comunicare l’Amore, nel senso religioso del termine (da re-ligio, legare insieme), e insegnare la Bellezza, perché, come scrive Peppino Impastato, “se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura, l’omertà”


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