“Volevo raccontare come in questa Italia difficile sia ancora possibile battersi per i propri diritti, alzare la testa, promuovere le proprie ragioni”. Marco Omizzolo, Cavaliere della Repubblica per la sua battaglia contro il caporalato in agricoltura, parla del suo ultimo libro, “Sotto padrone” (Fondazione Feltrinelli), e tradisce l’emozione di chi ha appena lasciato andare un pezzo della propria vita verso il suo destino e saranno i lettori a dire quale. Tra le pagine del libro si ritrovano dodici anni di storia di un giovane sociologo che un giorno legge sul giornale di un bracciante indiano ferito e comincia a porsi un po’ di domande. Cosa stava facendo, dove andava quell’indiano, da dove veniva e perché c’era quella coltre di silenzio e omertà sulle migliaia di nuovi lavoratori dell’agro pontino? Ha trovato risposte Marco Omizzolo, brutte, orrende, inimmaginabili e le ha trovate con le sue mani e con i suoi occhi facendo l’infiltrato nelle campagne pontine. “Durante la mia esperienza da bracciante non ho mai dimenticato che quella era un’indagine sociologica. Mi è servito tutto quello che avevo studiato, ma ho imparato tantissimo dalle persone che ho incontrato – dice Marco Omizzolo – e ho visto lavoratori chiamare ‘padrone’ il datore di lavoro e chinare la testa quando quello passava tra le serre. Ho visto braccianti di 40 anni assumere sostanze dopanti per sopportare la fatica e poi ho visto la loro disperazione. C’è voluto tempo, forza, fiducia, però le cose sono cambiate man mano che prima in pochi poi in numero crescente hanno capito che potevano fidarsi di alcuni di noi e che potevano denunciare. All’inizio era difficile anche convincerli a raccontare, non si fidavano, avevano paura perché i ‘padroni’ tante volte avevano detto che era inutile rivolgersi alle forze dell’ordine, tanto non li avrebbero presi in considerazione”.
Cosa è cambiato in questi anni?
“Molto, tutto in alcune situazioni. Oggi tra i braccianti ci sono testimoni di giustizia, uno di loro ha avuto la forza di denunciare le condizioni di schiavitù cui era costretto, con le sue dichiarazioni è stata aperta un’indagine, c’è il processo, lui è parte civile e va in aula a testimoniare contro i suoi aguzzini. Ci sono altre storie analoghe davanti al Tribunale di Latina. Queste persone dimostrano di avere un senso civico straordinario, sono loro che insegnano a noi cos’è la lotta per i diritti”.
Omizzolo è stato minacciato tante volte, la sua macchina è stata presa di mira, danneggiata, e in molti lo hanno accusato di avere “interesse” a difendere i braccianti indiani. Emblematico ciò che è successo il giorno seguente il primo, grande, sciopero della categoria. Era il 18 aprile 2016, in cinquemila si riunirono in un’assemblea all’aperto in piazza della Libertà a Latina, sotto la sede della Prefettura. Da quel momento fu impossibile negare il fenomeno e le sue piaghe. Il 19 aprile cominciò a circolare nelle campagne di Sabaudia un volantino nel quale, sostanzialmente, si diceva che Omizzolo aveva interessi economici nella vicenda e che andava a caccia di pubblicità. Stessa diceria il giorno in cui è stato nominato cavaliere dal Presidente Mattarella: gli hanno detto di essere uno in caccia di medaglie e visibilità
“Io rispondo solo – aggiunge Omizzolo – che una delle più alte cariche istituzionali della provincia di Latina, nel 2016, disse che lui di indiani conosceva solo quelli dei film western. Ecco, questo era il clima appena tre anni fa. Noi sappiamo che lo sciopero dell’aprile 2016 ha contribuito ad accelerare l’iter per l’approvazione della nuova legge sul caporalato. E io so che la mia medaglia è quella che idealmente portano con loro quei testimoni di giustizia che ci aiutano ogni giorno a fare luce sul fenomeno del caporalato e sullo sfruttamento che c’è nel settore dell’agricoltura in provincia di Latina. Loro, che hanno deciso di non stare più ‘sotto padrone’. Dobbiamo sempre tenere presente che questo sistema si regge sulla complicità tra padroni e padrini, nella vasta rete di connivenze che pesa sulla produzione agricola pontina controllata in larga parte dall’agromafia che strozza, per primi, gli imprenditori puliti perché impone loro regole assurde, impone prezzi, obbliga a usare alcuni vettori al posto di altri. Tutto questo è ormai provato in molte inchieste e sentenze. Spero col mio libro di contribuire a far conoscere questa realtà”.