BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Uno, due, ma soprattutto ics

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In epoca oramai remota, parliamo di tre anni fa, e con intenti non  sospetti, abbiamo parlato su queste colonne di un fenomeno da noi rilevato allora, e che oggi è contiguo, a nostro avviso,  ad un fatto di cronaca “al centro” delle narrazioni dei maggiori organi di informazione. Il fatto di cronaca è la sentenza che condanna Facebook a riaprire l’account di un movimento politico chiuso d’ufficio dal social sul social, per presunte inadempienze al contratto d’uso del social medesimo da parte degli amministratori della pagina. Il tribunale civile di Roma ha emesso una sentenza a favore del ricorrente, ovvero del movimento politico suddetto, e ha obbligato il social di Menlo Park a riaprire quella specifica pagina. Il fatto di cui parlavamo sulle nostre pagine tre anni fa, si riferiva alla chiusura di un gruppo di lavoro su Facebook,  da parte dei suoi amministratori. Quindi due fatti simili nelle conseguenze,  ma molto differenti nella natura, con effetti però, ancora una volta molto simili, e su cui riflettere a lungo. Da una parte il gruppo era arrivato a “consunzione” per non meglio conosciute dinamiche interne all’apparato di gestione, dall’altra una pagina di attivisti politici che prosperava su Facebook, era stata chiusa d’ufficio per presunte violazioni al contratto d’uso fra il social e i contraenti. Casi diversi, risultati identici, che si sintetizzano piuttosto bene nel passaggio che estraiamo dal nostro post di tre anni fa:

Smettiamo in modo improvviso e spesso non preventivato, di interagire, di condividere e intessere relazioni e lavori con i nostri simili nella grande e variegata comunità che avevamo concorso a rendere forte e vigorosa sul nostro social preferito ma tutto quello che abbiamo scritto, fotografato, ripreso, montato, postato, sviluppato, suggerito, condiviso, intessuto, scambiato, realizzato, sviluppato ………( e tantissimi altri verbi e sinonimi di collaborazione ) rimarrà lì alla nostra portata, alla portata di quelli che nel gruppo erano iscritti, ma non di tutti, non di tutti gli iscritti al social, non dei nostri amici sul social, nemmeno della nostra sfera di influenza (filter bubble? echo chamber?); e il social ?…. e gli sviluppatori del social? … e il marketing del social? …e l’algoritmo del social? Cosa se ne farà/faranno. Ne sarà fatto qualcosa? Cosa resterà e quanto resterà e dove resterà?  Venuto meno il campo sociale condiviso dove sviluppare i nostri ragionamenti.

Nel caso del gruppo archiviato, il commento calzava a pennello; nel caso della pagina chiusa d’ufficio,  la questione è assimilabile alle prime righe dell’estratto, poi si separa in modo netto. Da una parte il gruppo seppur chiuso, lascia la sua eredità di contenuti a disposizione di tutti, dentro il social; dall’altra,  la pagina bloccata, diventa invece, inaccessibile e invisibile, quindi di fatto, si esercita un’azione di censura, totale. Per motivi forse legittimi, e dentro uno spazio privato e circoscritto, ma sempre un’azione censoria rimane. Non a caso nella sentenza del tribunale romano un passaggio rilevante a favore della riapertura della pagina,  indica proprio nell’impossibilità di “esistere pubblicamente” una delle principali ragioni a favore del ricorrente:
il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal dibattito politico italiano, come testimoniato dal fatto che la quasi totalità degli esponenti politici italiani quotidianamente affida alla propria pagina Facebook i messaggi politici e la diffusione delle idee del proprio movimento.

il preminente e rilevante ruolo assunto da Facebook nell’ambito dei social network, anche per quanto riguarda l’attuazione del pluralismo politico rende l’esclusione dalla comunità senz’altro produttiva di un pregiudizio non suscettibile di riparazione per equivalente (o non integralmente riparabile) specie in termini di danno all’immagine. 

L’estratto dalla sentenza merita un commento articolato che proveremo a fare più avanti, ma intanto indica in modo molto chiaro le responsabilità ascritte al comportamento dei “padroni del social” nell’atto di esclusione perpetrato nei confronti di questo particolare soggetto. Attenzione, vorremmo sottolineare questo passaggio, ci sembra un primo aspetto assai importante: la sentenza dice: “solo nei confronti di questo particolare soggetto”, ovvero di un gruppo politico, e non di chiunque dovesse subire la medesima sorte. Del resto la sentenza determina il risultato di quel particolare contenzioso. Ed è anche vero che nel diritto romano le sentenze non fanno giurisprudenza come accade per quello anglosassone. Dunque l’atto di giudizio, sebbene a nostro avviso, importantissimo per il futuro “costituzionale” della determinazione dei corretti rapporti di forza –  permetteteci una generalizzazione pesante – fra OTT e Mondo; va circoscritto entro un perimetro di legittimazione, che è quello giuridico vigente. E questa ultima… Continua su lsdi


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