Il 27 dicembre, proprio mentre l’autorità per le telecomunicazioni turca, obbedendo a una sentenza della Corte costituzionale, annunciava la fine di oltre due anni di oscuramento di Wikipedia, un tribunale di Istanbul condannava per reati di terrorismo sette giornalisti del quotidiano Sözcü.
I sette imputati – Burak Akbay, Yonca Yücekaleli, Mediha Olgun, Metin Yılmaz, Emin Çölaşan, Necati Doğru, Mustafa Çetin e Yücel Arı – hanno ricevuto condanne da due a quattro anni di carcere per avere “consapevolmente e intenzionalmente assistito un’organizzazione terroristica pur non facendo parte della sua struttura gerarchica”, ossia l’organizzazione di Fethullah Gulen, ritenuta responsabile dell’organizzazione del fallito colpo di stato del luglio 2016.
Una condanna incredibile, dato che Sözcü è un quotidiano noto per le sue posizioni laiche. Ma una condanna credibile, purtroppo, dal punto di vista di un sistema giudiziario come quello turco ormai del tutto dipendente dall’esecutivo, considerato che quelle posizioni sono spesso critiche nei confronti del governo.
Così, in extremis, la Turchia recupera il primo posto nella turpe classifica, stilata dal Comitato per la protezione dei giornalisti, dei paesi in cui nel 2019 sono stati imprigionati più giornalisti: fino a ieri era seconda dietro la Cina, che durante l’anno ne ha condannati 48, e oggi la supera abbondantemente arrivando a 54. Un primato della vergogna.