Spiati per sette anni, tutti. Come nei peggiori regimi autoritari coloro che hanno fatto vista a Julian Assange nel suo “rifugio” presso l’Ambasciata dell’Ecuador sono stati spiati, nessuno escluso, dai giornalisti ai medici; le visite sono state filmate, i colloqui registrati e ogni cosa è stata trasmessa all’intelligence degli Stati Uniti. Il vero occhio del Grande Fratello è entrato minuziosamente in azione.
E tra gli spiati c’è Stefania Maurizi, l’unica giornalista che ha lavorato a tutti i documenti segreti di WikiLeaks sin dal 2009 e tra quelli che negli ultimi mesi chiedono un intervento per salvare Julian Assange dalla morte, viste le sue condizioni di salute. Un appello ripetuto anche dal padre in una recente visita presso la Federazione della Stampa Italiana nell’incontro organizzato da Articolo 21 e sollecitato proprio dalla giornalista che lavora per Repubblica. La Maurizi ha scoperto che quando ha fatto vista al fondatore di WikiLeaks sono stati filmati e ascoltati i suoi incontri con Assange e sono stati anche fotografati tutti gli strumenti professionali che aveva con sè. Una vicenda gravissima e inquietante che rivela un lato oscuro di ciò che è accaduto in quella Ambasciata. Alcuni giornalisti e testate internazionali, tra cui Repubblica, sono entrati in possesso di filmati, audio e foto relativi all’attività di spionaggio sui visitatori di Assange, tra questi c’è appunto Stefania Maurizi che si è ritrovata filmata e con i cellulari smontati, presumibilmente col fine di trovare il codice IMEI che consente di identificare un telefono al fine di intercettarlo. “Le spie – ha raccontato in un suo recente reportage per Repubblica – hanno anche prelevato le nostre chiavette Usb, anche se al momento non è chiaro se siano riuscite a forzare la cifratura con cui avevamo protetto le informazioni salvate nelle memorie Usb all’interno del nostro zaino. Si tratta di una gravissima violazione della riservatezza delle fonti giornalistiche, visto che i nostri incontri con Julian Assange e con lo staff di WikiLeaks all’interno dell’ambasciata erano di natura professionale e nelle nostre visite ricorrenti venivamo registrati come giornalisti. Tutti immaginavano che l’ambasciata dell’Ecuador a Londra, in cui si era rifugiato Assange, fosse oggetto di una straordinaria sorveglianza. Ora però i sospetti si sono trasformati in certezze, dopo che il giudice José de la Mata dell’Alta Corte spagnola (Audiencia Nacional) ha aperto un’indagine contro l’azienda UC Global con sede a Jerez de la Frontera, Cadice, nel sud della Spagna, e ha perquisito e arrestato il suo boss, David Morales. Quando il 19 giugno del 2012 il fondatore di WikiLeaks si rifugiò nel minuscolo appartamento che è l’avamposto diplomatico di Quito nel Regno Unito, l’ambasciata mancava delle più basilari misure di protezione, tanto da non essere dotata neppure di telecamere. E’ per questo che l’allora governo dell’Ecuador di Rafael Correa, che aveva dato asilo ad Assange, arruolò la UC Global, una piccola azienda di security fondata da un ex militare spagnolo di nome David Morales, che forniva servizi di scorta e protezione alla famiglia di Correa”.