Prende la forma del cappio stretto a morte intorno alla concessionaria del servizio pubblico il combinato disposto del prelievo della quota cosiddetta extragettito e del protocollo di intesa tra Mise e Rai che ci è stato proposto in Cda che condiziona l’erogazione del contributo di 40 milioni di euro per il 2019 e altrettanti per il 2020 per lo sviluppo della programmazione digitale. Un atto che considero, nella forma e nella sostanza illegittimo, perché il Mise ci chiede di dare dettagli fino alla presentazione di fatture per obblighi in realtà già previsti dal Contratto di Servizio.
Più in dettaglio i commi 89 e 90 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 fissano a regime l’importo del canone Rai (90 euro annuali e stabilizzazione del cd extragettito Rai) alle categorie predeterminate, fra cui il Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione (contributi all’emittenza radiotelevisiva), mentre il comma 101 riconosce un contributo per l’adempimento degli obblighi del contratto di servizio alla Rai (incluso sviluppo della programmazione digitale) di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020.
Una richiesta pretestuosa visto che il meccanismo della contabilità separata già certifica e determina il costo di fornitura del servizio pubblico generale radiotelevisivo coperto dal canone di abbonamento. E, se proprio vogliamo dirla tutta, risulta che quest’anno vantiamo crediti con lo Stato, per lo svolgimento dei compiti assegnatici dal contratto di servizio, per 8,1 milioni di euro che si aggiungono ai 2,5 miliardi dal 2005 (anno di prima applicazione della contabilità separata). Pochi giorni fa abbiamo festeggiato i quarant’anni di Rai 3, tra poco festeggeremo i trent’anni di Isoradio, abbiamo mandato in onda con straordinari risultati la Tosca, il tutto con il contributo economico degli utenti. Bene, mi chiedo cosa ricorderemo tra altri venti anni? La chiusura di alcune reti, la dismissione delle sedi regionali, licenziamenti di massa e, dunque, la fine del servizio pubblico?