BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Piazza Fontana. Giustizia l’è morta!

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50 anni dopo la strage di Milano del 12 dicembre 1969, giustizia non è stata fatta. I veri colpevoli sono ancora liberi, i mandanti e le connivenze non hanno un volto né un nome. I sopravvissuti e le famiglie delle vittime non si potranno mai consolare.

La verità giudiziaria, dopo innumerevoli inchieste e processi, non è stata sancita. I colpevoli si sono evaporati come il fumo delle bombe a Milano e a Roma. L’unica verità che ci rimane è quella storico-politica, fatta propria dall’opinione pubblica: fu Strage di Stato! Le bombe furono messe da esecutori neofascisti con la connivenza di apparati deviati dello stato.

Si era in pieno “Autunno caldo”. Nelle fabbriche metalmeccaniche, nei licei e nelle università cresceva la protesta e una nuova generazione di italiani cercava in modo spontaneo e senza punti di riferimento di cambiare il futuro del paese e affermare nuovi valori ed esigenze nella vita sociale e politica. La sinistra storica vedeva con diffidenza e sospetto questa “contestazione” crescente, fuori dagli schemi usuali. Solo i sindacati metalmeccanici e alcuni intellettuali come quelli del Manifesto, “radiati per frazionismo” dal PCI, cercavano un dialogo con i “cani sciolti” del Movimento.

Fabbriche, scuole superiori e università occupate, autogestite; un pullulare di Consigli di fabbrica e di Comitati di base studenteschi. In questo magma movimentista, dove la stragrande maggioranza dei giovani sessantottini, figli del baby-boom, aveva una scarsa preparazione politica, si innescarono però le prime infiltrazioni. Specie tra gli anarchici, col loro bagaglio antipartitico e di libertà assolute. Nacquero strani circoli di “nazi-maoisti”, dove si mescolavano i pensieri rivoluzionari del “libretto rosso” di Mao, il ritorno ad una civiltà contadina, ad una società livellata, con le liriche di Julius Evola e i primi dettami misteriosofici del nazionalsocialismo. Fecero la loro comparsa i primi gruppi di estrema destra, camuffati, di Europa Civiltà ed Ordine Nuovo, che echeggiavano parole di una sinistra rivoluzionaria di inizio Novecento.

L’anno si era aperto con la drammatica morte dello studente cecoslovacco Jan Palach, che si era dato fuoco per protestare contro l’invasione sovietica a Praga. Ci furono manifestazioni, dove confluirono studenti di destra, ma anche cattolici “del dissenso” e universitari del Movimento Studentesco. La sinistra storica rimase a guardare. Questo fu il primo segnale del distacco tra i movimenti “extraparlamentari” e il PCI, il PSI, i sindacati confederali.

Negli Stati Uniti cera il presidente repubblicano Richard Nixon, un maccartista della prima ora, sostenitore dell’escalation dell’intervento militare in Vietnam. In Germania, invece, per la prima volta arrivavano al governo i socialdemocratici con Willy Brandt. Mentre nella Grecia, preda di crisi economiche e di rivolte sociali, facevano sentire il loro pugno di ferro i torturatori neofascisti, quei Colonnelli che, cacciato il re Costantino, imposero una dittatura spalleggiata dagli Stati Uniti, tramite la CIA. In carcere duro e torturati molti oppositori, tra i quali due noti intellettuali e artisti: il poeta Alekos Panagulis e il musicista Mikis Theodorakis.

In Italia, la sinistra egemonizzata dal Partito comunista, guidato da Luigi Longo ed Enrico Berlinguer, si teneva a debita distanza dai movimenti studenteschi, quando non ostacolava gli approcci solidaristici tra questi e i giovani operai nelle fabbriche del Nord. E intanto, anche al suo interno cresceva una dissidenza, che portò alla creazione della rivista il Manifesto e alla “radiazione per frazionismo” degli esponenti più in vista, colpevoli di un’apertura di credito verso i nuovi movimenti studenteschi ed operai, di dissentire in maniera più drastica contro la politica illiberale ed egemonica dell’Unione Sovietica nell’Est Europa.

Eravamo la generazione che aveva divorato la letteratura americana, ascoltato la musica anglo-americana (dai capiscuola Beatles e Rolling Stones, a Simon and Garfunkel e Bob Dylan, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison); che aveva visto soprattutto film americani e sognava l’America e l’Inghilterra come due paesi dove poter viaggiare in libertà e senza costrizioni ideologiche e moraliste. Avevamo negli occhi e nel cuore film americani neo-realisti e “on the road” come Easy Rider (di Dennis Hopper e Peter Fonda), Un uomo da marciapiede (di John Schlesinger), Alice’s Restaurant (di Arthur Penn), ma anche western atipici come Il Mucchio selvaggio (di Sam Peckimpah) e Butch Cassidy (di George Roy Hill). Ci emozionavamo con le storie rivoluzionarie narrate da Queimada di Gillo Pontecorvo, del brasiliano Antonio das Mortes (di Glauber Rocha) e l’anti-golpista greco Z-l’orgia del potere (di Constantin Costa-Gavras).

Certo, seguimmo con attenzione e stupiti la lunga diretta tv sulla discesa del primo uomo sulla Luna quel 21 luglio con Neil Armstrong e il suo Apollo 11. Ci estasiammo per il Festival di Woodstock a ferragosto con mezzo milione di giovani che per 3 giorni vissero un evento musicale unico e irripetibile nella storia moderna. Prendemmo sotto gamba le prime avvisaglie della “Strategia della tensione”, quando nella notte dell’8 agosto furono fatte esplodere alcune bombe sui treni in 9 stazioni, che provocarono 12 feriti, con la conseguente caccia poliziesca contro gli anarchici: per scoprire tempo dopo che erano stati i neofascisti di Ordine Nuovo.

Alla riapertura dei licei, si intensificarono raid di picchiatori fascisti contro gli “studenti rossi” ed ebrei. L’Autunno caldo era alle porte. Dopo lo sciopero nazionale dei metalmeccanici dell’11 settembre e i primi tentativi del Movimento studentesco di partecipare alle iniziative operaie, il 28 novembre a Roma sfilarono 100 mila metalmeccanici, con un servizio d’ordine presidiato dalla CGIL e da militanti del PCI proprio per separare gli operai dagli studenti. A Piazza del Popolo si svolse la più grande manifestazione di protesta dal Dopoguerra, che porterà nel gennaio del1970 alla firma del nuovo contratto con forti innovazioni e all’istituzione dello storico Statuto dei lavoratori.

E’ in questo quadro di prime avvisaglie di una crisi economica, di instabilità politica (con i governi guidati dalla destra DC di Mariano Rumor), di fibrillazione sociale e soprattutto del riemergere di tentazioni autoritarie all’interno dei vari apparati dello stato (servizi segreti, forze di polizia e militari), collegati ai gruppi di estrema destra, che avviene la “prova generale” della Strategia della tensione, fomentata anche dalla propaganda mediatico-politica sugli “opposti estremismi”: il 12 dicembre scoppiano le bombe a Milano nella Banca dell’Agricoltura a piazza Fontana e in piazza della Scala; contemporaneamente a Roma alla BNL di via Veneto, all’Altare della Patria e in piazza Venezia.

La pista seguita dagli inquirenti fu indicata dai vertici degli Affari Riservati del Viminale e portò subito ad incolpare gli ambienti anarchici, a quel tempo inquinati da infiltrati neofascisti come Mario Merlino, che faceva la spola tra Roma e Milano, cercando con mistificazioni ideologiche di coinvolgere giovani del movimento studentesco in scelte “pseudorivoluzionarie”. Allora nessuno conosceva i suoi trascorsi di estremista di destra, di frequentatore di ambienti spionistici e dei campi di addestramento golpisti. Poi il 15 dicembre ci fu l’arresto del “ballerino anarchico” Pietro Valpreda, il “mostro” da sbattere in prima pagina per mesi e mesi. La stessa sera muore un altro anarchico, il ferroviere Giuseppe Pinelli, interrogato nella questura di Milano dal commissario Mario Calabresi. “Suicidio” sentenziarono i vertici della polizia, del governo e della magistratura. In realtà, come ben ricostruirono alcuni coraggiosi giornalisti e anche Dario Fo nella sua piece “Morte accidentale di un anarchico”, Pinelli “era stato suicidato”. Ma nessun agente di polizia ha mai confessato come avvenne quella “morte indotta”.

Fu allora che il movimento degli studenti perse la sua carica di ingenuità, di leggerezza d’animo, di spontaneismo e irriverenza anche goliardica. Si affermarono i gruppi più violenti come Potere Operaio e Lotta Continua. Nacquero i primi nuclei di terroristi rossi. Ma per alcuni di noi fu anche il battesimo di fuoco per cominciare a fare i giornalisti. Partecipammo a quella unica e non più ripetuta operazione di “Controinformazione democratica” che portò a disvelare le “verità ufficiali” sulle bombe del 12 dicembre, le infiltrazioni neofasciste e il ruolo degli apparati deviati dello stato, che si materializzò nel libro “Strage di stato”. Per molti fu anche un apprendistato per poi realizzare inchieste fuori dalle “veline” e dai canoni prestabiliti. Nacque così una generazione di “pistaroli”, di reporter “scomodi”, che poi si scoprì erano stati pedinati, intercettati e schedati dai servizi segreti.

Da Piazza Fontana, insomma, il nostro paese è entrato in una spirale di “finte verità”, in un declino non solo economico, ma anche culturale, da cui non è riuscito ancora a risollevarsi. La “meglio gioventù”, che si era formata nel fango dell’alluvione di Firenze, tra le comunità di base del dopo Concilio ecumenico, nei licei, nelle università, nei Consigli di fabbrica, nelle manifestazioni pacifiste contro la guerra in Vietnam, si bruciò le ali e si affievolì la speranza “dell’Immaginazione al potere”.

Nonostante gli sforzi di indagine e di ricostruzione dei fatti più terribili che abbiamo vissuto, non è ancora emersa la verità giudiziaria definitiva sui tanti “segreti di Stato”: dalle stragi che seguirono a quella del 12 dicembre, agli omicidi eccellenti come quello di Aldo Moro, all’abbattimento del DC9 su Ustica, ai vari tentativi di golpe, come quello del tutto oscuro del 1974, alla P2 e, infine, agli intrecci perversi tra mafia, camorra, ‘ndrangheta con i poteri politici locali, nazionali e gli ambienti economico-finanziari.

Quando la Giustizia non in grado di adempiere al suo compito, ma è un popolo a ripristinare la verità storica, allora quello Stato non è purtroppo un baluardo a difesa dei cittadini, incapace anche di far rispettare i dettami della sua Costituzione.


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