Vent’anni senza Nilde Iotti e Amintore Fanfani, vent’anni senza due avversari che si stimavano e si rispettavano, vent’anni in cui la sinistra ha smarrito la sua forza, la sua narrazione, le sue intuizioni e tradizioni storiche.
Vent’anni e un vuoto che si avverte ad ogni passo, ogni giorno, in ogni circostanza.
La partigiana Nilde iotti, protagonista di una storia d’amore con Togliatti al tempo stesso drammatica e meravigliosa, all’epoca destinata a destare scandalo e a renderle la vita estremamente difficile, prima donna presidente della Camera, riformista a ventiquattro carati, con lo sguardo sempre proteso in avanti, un coraggio leonino, una forza d’animo che le permise di tenere alta la bandiera di un femminismo saggio e mai fanatico in anni in cui questo tema era quasi un tabù, una rivoluzionaria gentile ma fermissima, tanto che la sua presidenza di Montecitorio venne definita “regale” per autorevolezza e prestigio ma, al contempo, considerata assai severa per il rigore con cui fece rispettare i regolamenti.
Fanfani, invece, era un aretino ambizioso, presuntuoso, a tratti quasi prepotente ma animato da una cultura e da una passione civile senza eguali. Fu il primo, forse prim’ancora di Moro, a comprendere la necessità di un allargamento a sinistra, pur essendo stato una delle icone del centrismo democristiano degli anni Cinquanta e pur non essendosi mai collocato nello stesso filone visionario dello statista pugliese.
Fanfani ha attraversato mezzo secolo di vita politica italiana, fallendo solo l’elezione al Quirinale e venendo ricompensato con la nomina a senatore a vita, ad opera di Leone, nel ’72.
Fanfani ha guidato la DC e il Paese negli anni del boom economico, conducendo il suo partito alla vetta dolomitica del 42,3 per cento alle Politiche del ’58, prima di essere contrastato e accantonato dai dorotei per via dei suoi modi eccessivamente spicci e di quel carattere, maledettamente toscano, che lo portava a non avere nella simpatia e nell’affabilità i suoi punti di forza.
Eppure, la comunista riformista Iotti e il democristiano moderato e aperto Fanfani sono stati, ciascuno a modo suo, due straordinari protagonisti della nostra vita pubblica, punti di riferimento per intere generazioni e simboli di una concezione del bene comune di cui, purtroppo, si è smarrito il seme.
La Iotti e Fanfani hanno sognato, e provato a costruire, un’Italia migliore, più giusta, più umana e più libera, battendosi contro tutti i conservatorismi, le chiusure e gli eccessi.
Sbagliava, la riformista Iotti, quando sosteneva, negli anni Ottanta, che fosse giunto il momento di ridurre il numero dei parlamentari, probabilmente non rendendosi conto che la nostra non era già più la democrazia articolata che i padri e le madri costituenti avevano immaginato e provato a disegnare a suo tempo.
Non sbagliava affatto, al contrario, Fanfani quando puntò su alcune nazionalizzazioni, aprendo la strada all’esperienza del centrosinistra che Moro e Nenni avrebbero condotto all’apice, in una delle legislature (la quarta: 1963-1968) più proficue e innovative di sempre, incanalando i positivi fermenti sociali della generazione che voleva il pane ma anche le rose, prima che la bomba di piazza Fontana facesse precipitare tutto.
Non a caso, Enrico Berlinguer sosteneva che quel passaggio avesse segnato la fine di un’epoca, di una stagione purtroppo irripetibile della nostra vita democratica, sostenendo, forse ingenuamente, che la passione non fosse finita ma che andassero comunque recuperati gli ideali di quel decennio sconfitto dal piombo e dalla violenza del successivo. Probabilmente, in cuor suo, sapeva bene che non era possibile ma non volle mai arrendersi all’abisso. Neanche Fanfani e la Iotti, a dire il vero, tanto che lottarono fino alla fine per i diritti e la dignità della persona, per salvare la politica dal suo maledetto e dolorosissimo declino.
Se ne andarono a poche settimane di distanza l’uno dall’altra, decretando, di fatto, la conclusione di un’epoca e di una contrapposizione costruttiva che, a sua volta, da allora, è venuta meno.
Erano la Politica, intesa nel suo senso più nobile. Cosa è rimasto in noi di quella storia? Forse neanche i ricordi, ma di oblio si muore.