La colonizzazione delle mafie nel Settentrione d’Italia non è più un problema: è un’emergenza. Ce l’han detto in tutti i linguaggi e in tutti i tempi; abbiamo assistito ad allarmi lanciati da eminenti studiosi dell’argomento; da Enzo Ciconte e Nando Dalla Chiesa, a Gian Carlo Caselli e Nicola Gratteri. Professori di prestigiose università che da decenni oramai descrivono con meticolosi studi storici e sociologici il fenomeno del radicamento della mafia in Piemonte, a Reggio Emilia, in Lombardia, in Umbria: in Val d’Aosta. Magistrati che scrivono sentenze limpidissime. Addirittura ci sono studi commissionati dalle pubbliche amministrazioni che non sono neppure stati letti dalle stesse pubbliche amministrazioni che hanno commissionato gli studi stessi! Altrimenti non si comprenderebbero le dichiarazioni degli amministratori che – sfilando alla sbarra dei testimoni – mostrano candido stupore davanti a fenomeni abbacinanti.
Benvenuti il Nord! dove un boss di Camorra, tale Mario Crisci può dire testualmente, nel corso di un dibattimento penale, che lui era venuto: «…perché qui il tessuto economico non è così onesto…/…qui sono disonesti. Più disonesti di noi.…». Documento segreto accessibile solo a giornalisti d’inchiesta scafati e “rompiballe”? No, relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie. Scaricabile dal sito della Camera dei Deputati; accessibile a pubblici amministratori, cittadini, scuole, associazioni antimafia. Tutti, ma proprio tutti, potrebbero leggere il periodo completo; che recita testualmente: «…Un esempio indicativo è costituito dall’indagine “Serpe” contro un gruppo di appartenenti alla camorra attivo nel nord-est attraverso la società “Aspide” con sede a Selvazzano, in provincia di Padova. Nel corso del processo nel 2012 Mario Crisci, il capo banda rispose alla domanda sulle ragioni che l’avevano portato a scegliere il nord-est in modo inequivocabile: “Beh, siamo venuti qui perché qui sono disonesti. Più disonesti di noi. (…) Vede, abbiamo scelto di concentrare le nostre attività nel nord-est perché qui il tessuto economico non è così onesto. Anzi, tutt’altro. Io sono un esperto di elusione fiscale. Qui lavoro bene. Il margine di guadagno era buono, perché qui la gente non ha voglia di pagare le tasse, peggio che da noi” …».
Quel peggio che da noi è una condanna lapidaria; non è un’offesa. E se qualcuno si sente offeso, è perché ha il carbone bagnato. Giornalisti (e testate giornalistiche) compresi. Se non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, parimenti non c’è peggiore ignorante di chi non vuol leggere: o peggior complice di chi non vuole scrivere.
Ma cosa ci dovrebbe ricordare questa strategia della dissimulazione di un fenomeno? Se scrivo Greta Tumberg, scatta qualche meccanismo? Decenni passati ad ascoltare con sufficienza gli allarmi degli studiosi sul cambiamento climatico e poi arriva una ragazzina che smuove le coscienze. Perché non è così per la lotta alla criminalità organizzata nei “nuovi” territori di predazione delle mafie? Perché si accetta di scendere a patti con chi si presenta nei nostri municipi, nelle nostre aziende, nei nostri studi professionali? Ce l’han già urlato ai quattro venti che “quelli” non vengono per derubarci, ma per convincerci a farsi regalare i nostri tesori: i nostri territori, la nostra Cultura.
«La ‘ndrangheta inizia la sua scalata dal basso, rendendosi invisibile ai piani alti della società» ha detto recentemente Nando Dalla Chiesa, a Reggio Emilia. E allora, dove metteremo gli “allarmi”; nel “basso” della società o nei piani alti? E se suona un allarme dal “basso”, i piani alti avranno l’intelligenza di ascoltarlo, oppure schiacceranno l’allarme ritenendolo fastidioso? Con Greta si poteva ignorare l’allarme di una ragazzina. Ma la società ha deciso di ascoltarla.
Con la lotta per la Legalità si è deciso di fare il contrario; si sono spenti i campanelli, schiacciati gli allarmi. Perché ci si è resi conto che la denuncia coinvolgeva non tanto i mafiosi, ma i “piani alti”. E la società è di fatto sparita, dominata dai “piani alti”. Da Brescello arrivano (a me e ad altri) querele e minacce; e la nuova amministrazione comunale non si distingue per attenzione nei confronti della situazione: anzi. Dopo lo scioglimento del Consiglio comunale di Brescello per mafia, si sono tenute nuove elezioni; ma in un continuo gattopardesco, alcuni assessori e consiglieri facenti parte della giunta e del consiglio sciolto per mafia, son tornati a essere assessori e consiglieri comunali; così la Commissione comunale Legalità ha “secretato” per mesi i verbali delle proprie sedute e – a fronte di una richiesta al sindaco di prendere le distanze tra una querela che riguarda me e altri – l’amministrazione avrebbe stabilito che si tratta di “una questione tra privati”, in cui non deve prendere posizioni.
Nemo profeta in patria A Viadana – provincia di Mantova, al confine con Brescello – la Commissione comunale antimafia e di promozione della legalità, presieduta da Alessandro Teveri ha proposto al Consiglio comunale la concessione della cittadinanza onoraria a me e a Matteo Franzoni, dopo che identico conferimento era stato adottato per il dottor Nino Di Matteo: «Si era poi deciso di proporre altri nominativi valutando anche la prossimità territoriale e, nello specifico, Matteo Franzoni per il coraggio dimostrato in qualità di testimone di punta nel processo Pesci (venendo quasi isolato) e Donato Ungaro che già dagli anni 2000, con il suo ruolo di giornalista, aveva denunciato attività mafiose (subendo anche intimidazioni) – spiegano in una nota il Presidente Teveri e i consiglieri del suo gruppo -. È un atto “simbolico”, un segno di solidarietà, gratitudine e vicinanza, che crea i presupposti perché loro e tutti coloro che dovessero trovarsi in situazioni simili non si sentano abbandonati a se stessi. È dovere delle amministrazioni comunali mantenere alta e costante l’attenzione sul tema della lotta alle mafie …».
C’è chi plaude al lavoro di denuncia; chi si stringe alle persone che subiscono soprusi. C’è la Commissione antimafia e promozione della Legalità del Comune di Viadana, C’è Articolo 21 e suoi vertici, che mi fanno sentire la loro vicinanza.
E poi c’è chi decide di sottostare alla logica per cui: «…le colonizzazioni si fanno anche così. Colpendone uno per educarne 100. E tutti capirono che a Brescello, tra le statue di Peppone e don Camillo, difendere la legge avrebbe portato male…». Parole di Nando Dalla Chiesa.