“Era facile amarla perché era una bella emiliana simpatica e prosperosa come solo sanno essere le donne emiliane. Grande in cucina e grande a letto. Il massimo che in Emilia si chiede a una donna”.
Questo un inciso dell’articolo a firma di Giorgio Carbone, giornalista di Libero, commentando la fiction che la Rai ha prodotto a vent’anni dalla morte di Nilde Iotti.
Queste parole hanno sdegnato indistintamente per il loro contenuto sessista ed umiliante, lesivo della dignità di tutte le donne oltre che della presidente Iotti.
L’Ordine dei Giornalisti ha stigmatizzato il testo, scrivendo “La trasmissione della fiction su Nilde Iotti, a venti anni dalla scomparsa, offre al quotidiano Libero un’altra opportunità per violare le regole principali deontologiche. Sessismo e omofobia: il giornalismo è un’altra cosa. Il riferimento fatto a una grande statista, prima donna in Italia a ricoprire una delle tre massime cariche dello Stato, è volgare e infanga con cinismo e allusioni becere tutte le donne italiane, non solo la prestigiosa figura di Nilde Iotti. Abbiamo già provveduto a segnalare al Collegio di Disciplina territoriale competente questo nuovo infortunio del quotidiano milanese”.
Così hanno dichiarato Carlo Verna e Guido D’Ubaldo, presidente e segretario del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti.
“I contenuti dell’articolo di oggi sono deplorevoli ed infangano la memoria di una grande donna che ha fatto la storia italiana. La competenza delle sanzioni come per tutti gli ordini professionali, in base DPR 137/2012, è passato ai consigli di disciplina, che sono totalmente autonomi rispetto agli Ordini, nei quali riponiamo – come si deve nei confronti di chiunque si veda assegnata da una legge la funzione giudicante – piena fiducia. E ci fa piacere ricordare come pochi giorni fa la giustizia domestica in primo grado abbia disposto la radiazione per l’autore della cosiddetta telecronista sessista contro una guardalinee di calcio. Ancora una volta diciamo no a chi fa male al giornalismo”, hanno concluso i rappresentanti dell’ODG.
Ma a leggere bene fra le righe dell’articolo, invero, si scorge molto di più di mere banalità maschiliste.
Libero e molte altre testate giornalistiche da tempo oramai hanno avviato una campagna mediatica a base di “disfattismo valoriale”, il quale, va rimarcato, prescinde dalle bandiere di partito e si concentra su quanto intorno quanto possa ancora far riscoprire alla collettività la tradizionale cultura civile del nostro Paese.
Nilde Iotti non viene svilita solo perché era una donna e pure comunista, bensì in quanto, come altre figure del passato politico italiano, rappresenta ancora una modalità di proporsi pubblicamente agli italiani in tutto diversa da quella odierna, ridotta ad un contenitore di slogan ed odio comunicativo, molto spesso vuoto di progettualità ed idee.
Attaccare la Iotti e umiliarla come donna e come istituzione significa tentare di ricondurre la coscienza collettiva al basso livello di sensibilità civile al quale oggi purtroppo le comunicazioni mediatiche spesso incitano.
Significa dunque temere che lo spettatore della fiction Rai su Nilde Iotti scopra una politica diversa da quella che è abituato a sorbirsi ogni giorno sui social e sui talkshow, ed inizi a porsi legittimi dubbi sull’efficacia dell’ impianto rappresentativo – elettorale che lo circonda.
Si traduce in definitiva nel tentativo di livellare la capacità critica di chi legge, ascolta, assiste, e dovrebbe ragionare.
Poche sono rimaste oggi le fondamenta credibili della società: la figura femminile ne è parte essenziale e deve restare tale non in quanto formosa, simpatica e brava cuoca, ma perché riveste il ruolo di ineludibile meccanismo di funzionamento sociale, soprattutto quando “ le è consentito“ di rivestire ruoli istituzionali ed ha lo spessore etico di Nilde Iotti.
Figlia di un ferroviere sindacalista, Leonilde Iotti rimase orfana del padre a quattordici anni e proseguì gli studi grazie a borse di studio che le permisero di iscriversi e laurearsi in lettere nel 1942 all’Università Cattolica di Milano.
Staffetta partigiana e storica militante del Pci prima e poi dei Ds, la Iotti fu la prima donna a ricoprire il ruolo di presidente della Camera nel 1979, determinando una svolta nella politica italiana e segnando il primo passo nel coinvolgimento delle donne nelle istituzioni italiane.
Ed ecco perché Libero si lancia nell’ennesima pubblicazione sessista e riduttiva di una figura femminile di spicco.
A chi pretende di definire la donna come un mero ornamento o un’utile cuciniera, se non addirittura un divertissement erotico, la levatura culturale e lo spessore morale, persino le finezza dei modi di un’esponente politica come Nilde Iotti danno fastidio.
E rappresentano soprattutto il pericolo che si rifletta sulle modalità di espressione politica grossolane e superficiali che oggi fanno tanto audience, inducendo a rivalutare la donna come componente essenziale nella costruzione di una società basata sul rispetto e sulla solidarietà reciproca.
Ma la vicenda spinge anche verso una considerazione finale.
Libero con i suoi 2.218.601,31 annui è in seconda posizione fra le testate giornalistiche più finanziate. Il D.P.R. 7 novembre 2001 n. 460 agevolò la trasformazione in cooperative per tutte le imprese che intendevano chiedere finanziamenti pubblici e nel 2004 infatti Libero prima acquistò la sua affittuaria Opinioni Nuove e subito dopo si trasformò in cooperativa di giornalisti.
Nei sette anni dal 2003 al 2009, Libero ha ottenuto contributi pubblici per 40 milioni di euro e nel 2006 ha chiuso il bilancio con profitti dichiarati per 187. 000 euro.
- Nel 2000 Libero pubblica fotografie pornografiche di minori giudicate impressionanti e raccapriccianti e l’ordine dei Giornalisti irroga a Vittorio Feltri un provvedimento di censura. La prima decisione a Milano fu la radiazione (21 novembre 2000) per la «pubblicazione alla pagina 3 dell’edizione del 29 settembre 2000 del quotidiano di sette fotografie impressionanti e raccapriccianti di bambini ricavate da un sito pornografico reso disponibile dai pedofili russi e di un’ottava fotografia a pagina 4 (raffigurante una scena di violenza tratta dai video di pedofilia sequestrati dalla magistratura), fotografie che appaiono tutte contrarie al buon costume e tali (…), da poter turbare il comune sentimento della morale e l’ordine familiare».
Nel febbraio del 2003 l’Ordine Nazionale dei giornalisti di Roma annullò il provvedimento di radiazione e lo convertì in censura.
- Nel 2005 Libero pubblica un “falso” dossier dell’editorialista Renato Farina, secondo cui Romano Prodi, in veste di Presidente della Commissione Europea, aveva favorito ‘”consegne extralegali” della CIA in Europa, come nel caso di Abu Omar. Per tale dossier Farina viene condannato a sei mesi di reclusione per favoreggiamento.
- Nel 2011, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) con la delibera 63/11/CONS, sanziona il senatore Antonio Angelucci per omessa comunicazione di controllo proprio sui giornali «Opinioni Nuove Libero Quotidiano» («Libero») e «Il Nuovo Riformista». La Commissione Consultiva sull’editoria presso la Presidenza del Consiglio, preso atto della sanzione comminata dall’Agcom, stabilisce che i due quotidiani devono restituire circa 43 milioni di euro di contributi percepiti negli anni 2006-2010.
- Il 30 gennaio 2016 Libero pubblica l’articolo “L’Islam si evolve: dal burqa alla museruola” scritto da Souad Sbai, in cui si denuncia la diffusione islamica di una “museruola per donne” , definita nell’articolo come “un attrezzo per azzittire e umiliare” che sarebbe stata ideata da estremisti radicali salafiti. Le immagini erano autentiche, ma la notizia si rivela falsa: non erano “museruole”, ma tradizionali maschere “boregheh” usate dal popolo dei Bandari, ab origine per simulare dei baffi con lo scopo verosimile di intimidire gli schiavisti che arrivavano nei loro villaggi. L’articolo falsamente riconduce queste maschere ai salafiti, ramo ortodosso del sunniti, mentre i Bandari per lo più sono sciiti e vivono nell’Iran meridionale.
- Nel marzo 2016 Libero esce in prima pagina con “ Il Comune che vieta la minigonna: vergognosa sottomissione all’islam, riprodotto anche da Il Giornale in cui viene data la notizia che a Nieuw West vicino Amsterdam era stato vietato alle donne di girare in minigonna in pubblico per evitare di offendere o irritare gli immigrati islamici. La notizia viene subito smentita da altre fonti che dichiarano la non riconducibilità del divieto della minigonna all’Islam bensì ad un codice di abbigliamento dei dipendenti pubblici.
Libero nega da sempre il problema del riscaldamento globale affermando che la temperatura del pianeta si stia abbassando e nell’aprile 2019, durante l’incontro fra Greta Thumberg e Papa Francesco in prima pagina la definisce “Gretina” e “Rompiballe”.
Il direttore storico di Libero è Vittorio Feltri.
Nel 1996 Feltri, che all’epoca dirigeva il Giornale, viene condannato con il cronista Giancarlo Perna dal Tribunale di Monza per diffamazione a mezzo stampa ai danni del giudice antimafia Antonino Caponnetto per un articolo del marzo 1994 nel quale si gettavano ombre sui rapporti tra Giovanni Falcone ed il suo capo dell’ufficio a Palermo.
Nel 1997 Feltri viene condannato dal tribunale di Monza con il giornalista Gianluigi Nuzzi, per diffamazione a mezzo stampa in danno di Antonio Di Pietro, per un articolo su Il Giornale del 30 gennaio 1996 in cui viene scritto che negli anni di Mani Pulite ” i verbali finivano direttamente in edicola e soprattutto all’Espresso“.
Nel gennaio 2003 Feltri è condannato dal tribunale di Roma, insieme al giornalista Paolo Giordano, su querela di Francesco De Gregori che lamentava la manipolazione del suo pensiero su Togliatti ed il PCI in un’intervista del 1997 dal titolo De Gregori su Porzus accusa Togliatti e il partito comunista.
Nel 2006 è condannato dal Tribunale di Bologna a un anno e sei mesi di carcere per diffamazione nei confronti del senatore Gerardo Chiaromonte per un articolo sul Quotidiano Nazionale alla fine degli anni ’90 nel quale il suo nome veniva incluso nel dossier Mitrokhin.
Nel 2007 con Francobaldo Chiocci e la società Europea di Edizioni SPA viene condannato dalla Corte di Cassazione ad un risarcimento di 45 000 euro in favore di Rosario Bentivegna, coautore de “L’Attentato di Via Rasella”, per il reato di diffamazione avendolo paragonato ad Erich Priebke per il quale lo stesso Feltri aveva chiesto la grazia.
Nel 2011 il Tribunale di Milano condanna Feltri al risarcimento per 50mila euro in favore de l’ex senatore dei Verdi e cofondatore dell’Arcigay Giampaolo Silvestri con 50mila euro, per un insulto a sfondo omofobo pronunciato nel 2007 durante il programma Pensieri&Bamba su Odeon TV.
Le prime pagine di Libero vanno da “Bastardi islamici”, a “ Dopo la miseria portano le malattie”, e ancora “ Più immigrati = più attentati”, “Calano fatturato e PIL, ma aumentano i gay”, “ Patata bollente” sulla sindaca Raggi , e “La rompiballe va dal Papa” su Greta Thunberg.
Alle critiche che gli sono state mosse, Vittorio Feltri ha risposto con queste parole: “Noi non insultiamo nessuno, noi registriamo la realtà. La raccontiamo per quello che è, punto e chiuso”.
Ma questa realtà, caro direttore Feltri, non è quella che tutti vogliono sentirsi raccontare.