Una vera guerra contro le droghe internazionali non può esistere se non si combatte a livello transnazionale, individuando nella produzione e nell’offerta il vero nemico contro cui battersi con una strategia basata su tre punti fondamentali: l’eradicazione delle coltivazioni, la distruzione delle sostanze prima che passino le frontiere, la punizione dei trafficanti. Questa dovrebbe essere la strada maestra da percorrere, ma, in realtà, la guerra alla droga oggi è condotta con armi spuntante e spesso inidonee allo scopo. Per le mafie oggi la droga è la più grande fonte di guadagno per finanziare tutte le attività illecite e per imporre o rafforzare il comando su ambiti d’importanza strategica, come nel campo economico e politico.
Nessuna meraviglia quindi se in caso di operazioni economiche siano stati impiegati ingenti quantitativi di denaro, con grande spregiudicatezza, fino ad arrivare alla complicità tra politici e criminali per posizioni di predominio nei mercati economici e finanziari. È nota l’azione della mafia nello scandalo dello IOR e del Banco Ambrosiano negli anni ottanta. Marcinkus fu indagato in Italia nel 1987 per concorso in bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano, il quale fu accusato di riciclaggio di denaro della mafia in connessione con la P2, una loggia massonica “coperta” guidata da Licio Gelli. Le dichiarazioni del pentito di Cosa Nostra, Vincenzo Calcara, ritenute verosimili dal tribunale di Roma nel 2003, sembrano avvalorare questa tesi, raccontando di contatti fra Marcinkus, Calvi (esponente della P2) e membri di Cosa Nostra. Sempre con largo impiego dei capitali provenienti dal traffico di droghe sono state fortemente incrementate le coltivazioni di coca.
Di fatto abbiamo il continente sudamericano che produce i due terzi della droga nel mondo e controlla un’area caratterizzata da gravi crisi istituzionali e da un’instabilità generalizzata che favorisce sempre di più il potere dei narcos. Nell’immaginario corrente il traffico di droga ha un posto in prima fila. Secondo la delibera del 28 settembre 2001 n. 1373 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ci sarebbe anche una stretta connessione fra il terrorismo internazionale e la criminalità organizzata transnazionale, il traffico illecito di droga, il riciclaggio di denaro sporco e il traffico illegale di armi. E questa connessione legittimerebbe in alcune circostanze anche il ricorso alla guerra, così com’è avvenuto in Afghanistan e potrebbe avvenire in altre aree del pianeta come, ad esempio, in America latina. In Colombia, a prova di quanto detto, la superficie coltivata a coca è quadruplicata negli ultimi tre anni. Da aggiungere che, oltre ad essersi ampliate geograficamente, le coltivazioni si sono modernizzate ed hanno aumentato il loro indice di produttività. Va precisato, a differenza di come credono in tanti, che non è la Colombia, il primo paese produttore di coca ma il Perù.
L’anno scorso in Perù sono stati coltivati circa duecentomila ettari di piante di coca, rispetto ai centottantamila ettari coltivati in Colombia. In Afghanistan si produce il novanta per cento dell’oppio mondiale. La Birmania è il secondo produttore mondiale di oppio. Colombia e Perù sono i maggiori fornitori mondiali di cocaina. Il Messico è il primo produttore di eroina e marijuana. Albania e Marocco sono tra i primi produttori di cannabis del mondo. Dobbiamo combattere una guerra da cento miliardi di dollari. Punire i produttori, i trafficanti, gli spacciatori e i consumatori di droghe costa cento miliardi di dollari l’anno a livello mondiale, con un guadagno di oltre trecento miliardi per la criminalità organizzata. Tutto ciò è in perfetta coerenza con le logiche proibizioniste e militari che dominano le guerre alla droga, in assenza di qualsiasi politica che ribalti gli effetti criminogeni della globalizzazione, un contesto che stimola e favorisce il ricorso all’accumulazione illegale, in cui la produzione e il traffico di droghe hanno ancora oggi un peso prevalente.
Se non saranno elaborate nuove ed efficaci strategie globali per combattere la coltivazione illegale, la guerra contro i narcotrafficanti e le droghe è già persa in partenza. La ricerca scientifica e nuove tecnologie hanno portato allo sviluppo di strumenti sempre più sofisticati in grado di rilevare la presenza di coltivazioni medio-grandi anche da grandi distanze. Nuovi algoritmi, telerilevamenti, l’uso di droni speciali sono gli strumenti più efficaci nella lotta alle coltivazioni illegali di droga. Come non è arduo comprendere la guerra agli stupefacenti dovrà essere giocoforza sempre più tecnologica. Cercare una piantagione in un territorio ampio è impresa molto difficile senza la tecnologia, per cui, sarà indispensabile una revisione globale delle politiche di controllo degli stupefacenti e dei campi di coltivazione. Bisognerebbe certo punire la criminalità, ma punire la criminalità non vuol dire punire i singoli che fanno uso di sostanze, che andrebbero, invece, curati. In conclusione resta un punto fermo del nostro discorso: il problema della droga va affrontato in modo globale per avere risultati tangibili e duraturi. Perciò è necessario presidiare contemporaneamente anche tutti gli altri aspetti nei quali lo possiamo suddividere.
Bisogna tenere presente la prevenzione, orientata a evidenziare i danni e i pericoli connessi all’uso di stupefacenti. Ma al tempo stesso liberalizzare il commercio e la produzione di quelle droghe definite “leggere”. Un altro punto fondamentale per qualificare una valida strategia antidroga è quello del recupero dei soggetti che fanno uso di droghe. Questo ovviamente impone un presupposto culturale e un impegno di tutta la comunità. All’origine di tutto questo vi è, come abbiamo più volte detto, il nodo centrale dell’intero problema droga, sul quale s’impernia la questione della riduzione della domanda. Utili allo scopo sarebbero anche una seria politica di depenalizzazione e l’eliminazione del contante. Basandosi su queste analisi e avendo presenti gli obiettivi prima enunciati, a nostro avviso, si potrà contribuire alla costruzione di un mondo più libero dalla schiavitù della droga.
(Vincenzo Musacchio, giurista e presidente dell’Osservatorio Antimafia del Molise)