La vicenda si presenta affatto complessa: una sorta di matassa da dipanare nel labirinto di intercettazioni e produzioni difensive. Pertanto, si impone una preliminare operazione di sinossi, a sua volta preceduta da una considerazione prologica: di tutti gli imputati che rispondono di rivelazione di notizie segrete – il Gen. Arturo ESPOSITO, all’epoca direttore dell’A.I.S.I.; il Sen. Renato SCHIFANI; il Dott. Andrea CAVACECE, capo reparto dell’A.I.S.I.; il Dott. Andrea GRASSI, allora dirigente della prima divisione dello S.C.O. di Roma; il Prof. e Avv. Angelo CUVA; il Col. Giuseppe D’AGATA, all’epoca inserito nel reparto di CAVACECE – solo per Andrea GRASSI si procede nel presente giudizio, essendo gli altri separatamente giudicati innanzi al tribunale in formazione collegiale.
Tuttavia, le reciproche relazioni tra le diverse condotte di rivelazione di segreto d’ufficio impongono una ricostruzione unitaria degli eventi.
Ciò posto, deve ulteriormente premettersi che uno dei protagonisti di tale vicenda è Giuseppe D’AGATA, colonnello dei Carabinieri al quale, al capo P) di imputazione, vengono contestate molteplici condotte illecitamente rivelatorie.
Di alcune di esse ci si è occupati nella ricostruzione della connessa vicenda del passaggio di pen drive da D’AGATA a MONTANTE, per cui ripercorrere i medesimi fatti determinerebbe una inutile ed antieconomica iperplasia espositiva.
Dal capo P) di imputazione, tuttavia, occorre estrapolare una specifica condotta, che non è stata ancora compiutamente esaminata e che è rappresentata dalla rivelazione, da parte di D’AGATA in favore di MONTANTE, di alcune notizie inerenti alle indagini confluite nell’odierno giudizio, dopo che l’ufficiale, già comandante provinciale dei Carabinieri a Caltanissetta e poi capo centro D.I.A. a Palermo, era transitato nell’A.I.S.I.
Tale segmento imputativo si intreccia con la contestazione, di cui al capo T) della rubrica, mossa ad Andrea GRASSI, Andrea CAVACECE e Arturo ESPOSITO, di avere rivelato a MONTANTE la notizia per cui egli, nell’ambito dell’inchiesta nissena ormai oggetto di divulgazione mediatica, era sottoposto ad intercettazione.
La catena cinetica attraverso cui sarebbe avvenuta la rivelazione sarebbe la seguente:
dopo la pubblicazione dell’articolo di BOLZONI e VIVIANO del 9 febbraio 2015 su La Repubblica, avente ad oggetto l’esistenza dell’indagine su MONTANTE, la Dott.ssa Marzia GIUSTOLISI, previa autorizzazione dei P.M. titolari dell’indagine, comunicava la notizia delle intercettazioni al Dott. Andrea GRASSI, dirigente della prima divisione dello S.C.O. di Roma, nell’ambito delle doverose interlocuzioni istituzionali;
il Dott. Andrea GRASSI avrebbe rivelato la notizia all’amico Andrea CAVACECE, capo reparto presso l’A.I.S.I. di Roma;
Dott. CAVACECE ne avrebbe parlato sia con il suo superiore, il Gen. ESPOSITO, direttore dell’A.I.S.I., sia con il suo sottoposto, il Col. D’AGATA;
il Gen. ESPOSITO, tramite il Col. D’AGATA, avrebbe comunicato la notizia ad Antonio Calogero MONTANTE.
D’AGATA, dunque, quale ultimo anello della cinghia di trasmissione, avrebbe riversato tale dato all’imprenditore, cosi consentendogli di attivare tutta una serie di misure atte alla cautela contro le insidie investigative (utilizzo di schede telefoniche intestate a terzi; operazioni di bonifica per la rilevazione di microspie; etc.).
Tali avvenimenti, in particolare, si collocherebbero “in epoca successiva e prossima al 9 febbraio 2015” (cosi, il capo di imputazione), ossia poco dopo la pubblicazione dell’articolo su La Repubblica di BOLZONI e VIVIANO sull’inchiesta a carico di MONTANTE… Continua su mafie