Dunque ci siamo; Bashar al Assad (anche se a questo punto sarebbe il caso che cominciassimo a chiamarlo come sanno che si chiama realmente i suoi sudditi, cioè Bashar al Asad) ha fatto irruzione in redazione. Anzi, non in redazione, ma alla Direzione Generale della Rai. Con un Ukaz da palazzo ha comunicato alla RAi data e ora di trasmissione di un suo proclama-avvertimento, chiuso e confezionato da lui, soggiungendo che lo trasmetterà anche sulla sua televisione personale, quella della sua “famiglia”, la TV di Stato siriana. Parla a reti internazionali unificate. Questo monologo nessun direttore della RAI lo ha chiesto, nessun direttore di testata aveva ritenuto di domandarglielo; lo vuole imporre lui, d’autorità. Questa irruzione ha metodi e modi che neanche i Presidenti della Repubblica o Presidenti del Consiglio hanno mai tentato di usare con il nostro ente radiotelevisivo di Stato. Ma la cosa pazzesca è che davanti al sussulto di amor proprio e di dignità soprattutto di quanti sono ancora consapevoli di quanti colleghi siriani sono stati torturati e uccisi dal regime siriano, da destra e da sinistra si è avuta l’impressione si capiscano più le “ragioni” dell’invasore che quelle di chi difende la propria dignità. Cosa succede? Come è ipotizzabile una catastrofe nazionale di queste proporzioni? Come si può immaginare che un dittatore il cui sistema di crimini contro l’umanità va in questi giorni a processo in Germania, che ha appena terminato di distruggere l’ultimo ospedale funzionante in un’area che assedia, la provincia di Idlib, dove ha ammassato un milione e cinquecentomila profughi portando la popolazione civile a un totale di tre milioni di persone disperate, possa comportarsi in questo modo e trovare nel Paese che fu di Cesare Beccaria, che si dice figlio della resistenza, tante dirette o indirette comprensioni?
La questione è seria, serissima, gravissima, e si chiama “scontro di civiltà”. Qualcuno candida l’Italia a svolgere il ruolo di testa d’ariete dello scontro di civiltà in Europa. Questo è l’obiettivo del monologo dell’uomo che incarna l’idea di scontro di civiltà. Questa visione, molto cambiata rispetto a quella elaborata da Samauel Huntington, trova forse alcuni consensi grazie al fascino dei possibili appalti per la ricostruzione della Siria rasa al suolo, ma ha dalla sua la forza di un assunto politico che a questo punto diventa un programma di politica interna europea: contro la barbarie c’è solo la barbarie! Ha voglia il grande Gilles Kepel a spiegarci che la barbarie jihadista è stata creata in laboratorio proprio per questo dai regimi, a partire da quello di Assad ad altri a lui alleati o suoi nemici, per mettere a tacere i popoli che chiedevano diritti. Gli elementi per affermarlo sono ormai noti e Kepel ne è il più recente e autorevole documentatore. Ma questo non ci interessa perché richiede pazienza, analisi politica, disponibilità a capire. Più facile pensare che il mondo funzioni come un film di cow-boy, da una parte i buoni dall’altra i cattivi. Ecco che irrompendo nel cuore del nostro comunicativo Assad lancia una sfida mortale al nostro sistema sociale, alla nostra democrazia, alla tenuta delle nostre istituzioni in un momento di debolezza, di spaesamento, di difficoltà nazionale: o state con me e chi mi tiene a galla o state con i barbari… E’ evidente che stare con l’uno equivale a stare con l’altro, ma l’operazione politica è creare un fronte nel nome dello scontro di civiltà con tutto l’islam sunnita. Caderci vuol dire smantellare l’Europa, usando i diversi antagonismi intrisi dei più vetusti anti-americanismi, l’antisemitismo e la follia dell’identificazione di islam e terrorismo. Il jihadismo esiste, certo. E il terrorismo di stato? E i suoi squadroni della morte? E la sua amnistia che ha liberato i più noti e famigerati leader jihadisti per consegnare loro l’opposizione nel momento del bisogno? Lo aveva già fatto, quando fece affluire in Iraq migliaia di terroristi da tutto il mondo attraverso una sua rete clandestina e sotterranea solo per impantanare gli americani in Iraq e non trovarsi nei guai. Poi nel 2012 lo ha rifatto, con quelli che aveva nelle sue galere. Ora che ha vinto, riducendo il suo paese sul lastrico, il suo popolo alla fame, viene usato per squassare il sistema liberale in Europa. La valuta siriana precipita in queste a un valore che equipara uno stipendio al valore di un chilo di pane, ma lui vuole parlarci d’altro, presentarsi come un faro della lotta al terrorismo, lui che guida uno Stato-canaglia.
Sì, questa vicenda segna un’emergenza nazionale, quella che si apre davanti a noi come una voragine. Migliaia e miglia di musulmani illuminati, dialoganti, indisponibili a venire a patti con il mostro Isis e per questo uccisi dall’Isis non devono esistere. Milioni di musulmani illuminati, dialoganti, che volevano libertà e democrazia e per questo sono stati espulsi, torturati, uccisi, sequestrati, non devono esistere. Il regime che ha attuato il suo slogan gridato in tutte le piazze siriane da anni, “Assad o bruceremo il paese”, come hanno realmente fatto, non deve esistere.
Chi oggi arriva a parlare di rischio censura ai danni del satrapo ci espone a un rischio incredibile: metterci contro tutti i popoli che vivono sull’altra sponda del nostro mare e che sanno che lui è il prototipo prescelto da chi li sevizia, li schiavizza, li perseguita, li spoglia di ogni dignità per costruirsi enormi fortune nei paradisi artificiali dell’esenzione fiscale.
Stiamo attenti, molti attenti; il rischio per chi lascia un tiranno fare irruzione nella sua televisione di Stato è enorme.