Qualcuno si è assuefatto a quasi nove anni di massacri. Qualcun altro si è lasciato irretire dalla narrativa ufficiale russo-siriana per cui la guerra è finita e c’è solo da risolvere un residuo problema locale di terrorismo. C’è chi diffida delle fonti, di ogni fonte, e non crede più a niente. Poi c’è chi, non riuscendo ad abbracciare la causa complessiva dei diritti umani, ha abbandonato i siriani e si è schierato con i curdi (che sono sempre siriani, ma diversi).
Insomma, abbiamo dimenticato la Siria.
Nella zona di Idlib è in corso da aprile una duplice sanguinosa offensiva: terrestre da parte delle forze siriane, aerea e recentemente anche navale da parte di quelle russe.
A Idlib non ci sono solo “terroristi” o “ribelli moderati” (a seconda della narrativa). Ci sono gli abitanti che non sono riusciti ad andar via o non hanno voluto farlo. C’è un milione e mezzo di persone cacciate dalle forze governative mano a mano che riconquistavano zone prima sotto il controllo delle opposizioni armate e ammassate lì secondo una precisa strategia militare.
Quando è scattata l’offensiva russo-siriana sulla provincia di Idlib, insomma, c’erano quasi tre milioni di persone.
A fare notizia, in queste ultime ore, sono le parole del premier turco Erdogan, che lamenta un nuovo flusso di decine di migliaia di rifugiati dalla Siria e manda all’Europa l’avviso che la Turchia non può accoglierli.
Ha fatto meno notizia il raid aereo che, ieri mattina, ha colpito un edificio scolastico adibito a rifugio causando la morte di otto persone, tra cui cinque bambini.
Secondo Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef per l’Italia, nella provincia di Idlib più di 500 bambini sono stati feriti o uccisi nei primi nove mesi del 2019 e almeno 65 bambini sono stati uccisi o feriti solo nel mese di dicembre.
Intanto attendiamo dal fronte le ultime notizie dall’assedio di Maarat al-Numan.