Palermo è un ossimoro affascinante e complesso dentro il quale i MASBEDO – Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni – si muovono in “Welcome Palermo” con la stessa aria poetica ma presente, viva e carnale di un flaneur. “Abbiamo trasformato – affermano – un vecchio furgone OM degli anni ‘70 in un “vagone video” per visitare i luoghi del cinema del passato, per indagare sulla società siciliana e sulla storia della zona di Palermo. Il progetto “fisicamente” attraversa e attraversa la memoria, in particolare la memoria che emerge dal cinema investigativo.” Un progetto che è documentaristico e antropologico, estetico e sociale: scrutare una città al centro dell’immaginario: non più feticcio mafioso, sedimentato nella cultura cinematografica e letteraria, ma luogo di trasformazione, di scambio culturale, di sedimentazione e di contaminazione.
E’ una città totale quella di “Welcome Palermo”, che ricorda in parte quella descritta dallo scrittore Santo Piazzese nei suoi romanzi, luogo che “tutto trita, assorbe, metabolizza”. E questo attraversamento si compie soprattutto nel segno della memoria del cinema – anche itinerante, come il Cinemobile Cuccia di Villafrati – ma anche dei tanti genius loci, dei quartieri e dei palazzi signorili, della luce e del lutto – come le cento Sicilie pretendono e Bufalino prescrive – del mare, di castel Utveggio, del cemento sbreccato dei quartieri miserevoli e dei writers che lì vivono e operano.
Unico denominatore: la parola. Una parola urlata, declamata, confessata, dipinta da personaggi noti e sconosciuti: sindaci, cineasti, palermitani anonimi che abitano e trasformano la città, che raccontano le loro storie – e quella del “custurere” Franco Alaimo di Altofonte ci pare una delle più toccanti e discrete – che leggono sul video-furgone dei MASBEDO i pasoliniani “Comizi d’amore”, rendendo direttamente omaggio alla forma stessa del film-documentario con una citazione straordinaria. Un dialogo ininterrotto, un mosaico di vissuti e di esperienze diverse. Sul videomobile, trasformato in un moderno carro di Tespi (schermo, luci, mixer audio e videocamere), i MASBEDO declinano tutta la drammaturgia della città siciliana con la stessa “straripante concretezza visiva” di cui parlava Pasolini a proposito dei suoi comizi, intessendola delle sequenze mute dei documentari di Vittorio De Seta – il “comunista” sorvegliato dai Carabinieri durante le riprese a Petralia Sottana – delle audaci inquadrature subacquee e degli incontri di pugilato femminili girati da Francesco Alliata di Villafranca – nel racconto straordinario della Panaria Film che ne fa Vittoria Alliata – di canzoni e di musiche: e se la zampogna di Giancarlo Parisi echeggia in uno scenario scialbo e marginale, la versione che la voce di Serena Ganci, la musicologa-cantante, offre de “U pisci spada” di Modugno equivale al ricamo stesso della città, così come il “Valzer e Mazurka Brillante” di Nino Rota (arrangiata da Serena Ganci) interpretata dal coro del Teatro Biondo di Palermo, chiude il lungometraggio sulle movenze sensuali della Bharatanatyam, il coloratissimo rituale delle donne panormite e Tamil nei saloni del Palazzo Valguarnera Gangi: ennesima contaminazione e dissacrazione della “misura” viscontiana e gattopardesca.
Ne esce fuori una magnifica e tenerissima testimonianza d’amore per la città che i suoi stessi abitanti affidano ai registi ma che si proietta anche nella dimensione di un rapporto strettissimo e contraddittorio ad un tempo col cinema, con l’Immagine e con il Potere: Suor Cornelia che racconta il cineforum in parrocchia e la censura operata dai parroci che “tagliavano” alcune sequenze “non coerenti con la visione cristiana” prima della proiezione; il reticolo urbano e umano di Palermo interrotto dai palazzi del potere – conventi, chiese, cupole – segni immensi di un controllo inflessibile di cui ci parla Nicolò Scalzo, puntando il dito contro la memoria pietrificata e inaccessibile dell’Archivio Storico della città. “Welcome Palermo” sul Videomobile diventa uno “studio in movimento”: sorta di personale Gran Tour cittadino, ordito con le immagini di Gianfranco Mingozzi – il regista de “Con il cuore fermo, Sicilia” – di Mario Baffico e del suo quasi introvabile “Terra di nessuno”, dello stesso Pasolini, del fascino coltissimo dell’eloquio di Gioacchino Lanza Tomasi che discetta sul Visconti de “Il Gattopardo”, dei mille suoni di una città inesauribile e multiforme, dei writers e dei loro murales, tutti segni di una nuova consapevolezza e di un desiderio inesausto di rinascita: e la battuta di don Fabrizio a Chevalley – “la mia è un’infelice generazione, sono completamente senza illusioni” – che campeggia sulle bacheche vuote dei cinema di città suona piuttosto come un addio, un avviso su come non dovremmo essere, una messa sotto accusa della Storia in vista di un impegno, di un riscatto. Il cinema a Palermo, così come la sua stessa storia, allora, è ancora un lungo viaggio muto con il videomobile: luce ininterrotta e fascinosa su uno schermo nel buio della notte.